La realtà relativa è data dalla perfezione totale in divenire. Alla Perfezione, quella assoluta e indivisa, la realtà relativa deve il suo esserci, e a questa tende nel dover perfezionare tutte le relative imperfezioni della somma delle quali, il suo equilibrio generale è il risultato. Il fine primo della realtà relativa non è quello di ristabilire equilibri perduti comminando pene da scontare, ma piuttosto quello di perfezionare le coscienze individuali per dare loro modo di avvicinarsi alla perfezione del loro stato. Per essere perfette devono riuscire a identificarsi alla Perfezione assoluta. Dunque, a questo supremo fine, anche il dover scontare delle pene può essere utile, ma non è sempre e assolutamente necessario. La vita è molto più complessa della ricerca di equilibri stabili, perché la stessa esistenza vive attraverso il movimento causato dalla rottura di equilibri. Se l'esistenza fosse perfettamente equilibrata anche nelle sue componenti essa cesserebbe di essere perché l'equilibrio perfetto è immobile. Quando agendo si creano nuove e diverse condizioni, si possono rompere armonie o ripristinare, migliorandoli, equilibri che erano stati spezzati. Certamente a ogni rottura corrisponderanno conseguenze e ripercussioni, che possono anche essere considerate delle pene, da dover scontare al fine di riparare ai danni fatti, ma in vista della finalità suprema della vita, che è il raggiungimento della perfezione totale delle proprie possibilità di essere, la pena può mostrarsi superflua e già scontata tutte le volte che, in seguito a un pentimento profondo, l'essere che ha sbagliato si propone di riparare, e agisce per farlo per quanto è possibile fare, di riparare, dicevo, i danni causati, e li riparerà sacrificando se stesso alla verità della quale, finalmente, ha riconosciuto la sacralità inviolabile.
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