giovedì 26 agosto 2010

Cosa si deve intendere per "princìpi universali"


La metafisica è, propriamente, la consapevolezza immediata e diretta dei princìpi universali. Alla mente è poi riservato il compito di degradare in consequenzialità descrittiva questo speciale conoscere non mediato dalla mente, che è frutto di una intuizione spirituale possibile solo per coloro che hanno un canale di comunicazione aperto col centro di sé. Incollo un mio scritto, di seguito, per chiarire meglio di cosa la metafisica tratti.

Cosa sono i "princìpi universali":

Un principio si dice universale quando ha una valenza riferibile all’universo nella sua totalità. Per estensione laterale si usa il termine universale per indicare ogni realtà avente carattere generale, così da dire, per esempio, che è “universalmente” noto che i maschi di tutte le specie sono approfittatori (questa sarebbe l’universalità vista dall’universo femminile) :D

In realtà, e al di là dello scherzo, un principio universale non è solo generale, quest’ultimo avrebbe un correlativo, il particolare, che l’universale non potrebbe avere perché per universale si deve intendere comprensivo di tutto ciò che è, di ciò che ancora non è attuato ma che si attuerà e anche di quelle realtà che pur essendo vere non sono soggette al doversi manifestare. 
Il principio universale del moto è quella legge che impone il movimento, che è vibrazione, a tutto l’esistente. In quanto principio del movimento ne costituisce causa e, come tutte le cause, non partecipa ai suoi effetti né da questi può essere modificato. Si deve dire che, per questo, il principio che obbliga a muoversi non si muove a propria volta, pena l’arresto delle condizioni che consentono l’espressione vitale che è mezzo universale. Analogamente a ciò che avviene per legiferazione principiale (di principio), anche nella manifestazione della realtà relativa ogni causa non partecipa ai suoi effetti. È per questo che il fuoco non può bruciare né modificare l’essenza del calore che lo ha generato. Dovendo utilizzare una simbologia geometrica per semplificare la questione del grado di prossimità di ogni principio al centro dal quale è stato generato userò l’immagine, ristretta e limitata alla dimensione spaziale, di una circonferenza come se questa fosse l’immagine della totalità:
La circonferenza è, rispetto alla centralità dalla quale è irradiata, un effetto. Un effetto composto da una serie indefinita di punti in movimento, analoghi al punto centrale, del quale rappresentano la moltiplicazione per divisione. L’uno, riferito al centro, diventa i molti, ribaltandosi sulla circonferenza. È, questa, un’inversione speculare frutto della potenzialità centrale che diviene atto, riflettendosi nelle proprie possibilità di essere. L’Assoluto, essendo privo di dualità che si relazionano tra loro, è potenza e atto indissolubilmente uniti, e ciò che è possibile, solo per il fatto di esserlo, diviene attuabile. Le leggi che attuano questa riflessione sono i principi universali. Tutta la manifestazione della realtà procede da questi principi, i quali costituiscono gli assi fissi, nei confronti della realtà mobile, attorno ai quali ruota la realtà. I princìpi universali sono le modalità attuative della realtà relativa. L’Assoluto, del quale il centro è simbolica immagine, è centrale a ogni suo effetto e ogni suo effetto è immagine capovolta del principio primo che lo ha generato. Nell’allontanarsi dalla propria Causa assoluta, che è Perfezione assoluta, ogni effetto diviene a propria volta causa relativa di altri effetti, in una catena consequenziale e indefinita che si estende nella molteplicità, la quale dà forma e sostanza alla manifestazione della realtà delle relazioni. Questo allontanarsi dal Centro privo di dimensione dà origine a una gradazione che ha carattere di gerarchia, quando considerata attraverso questa chiave interpretativa che rappresenta una specifica visuale. La centralità, che è principio primo in rapporto alla circonferenza che esprime, analogamente all’Assoluto di cui è immagine riflessa, si riflette a sua volta in una moltitudine di centralità secondarie aventi gradi di relatività proporzionali all’allontanamento dal principio primo che il tutto genera. Più un effetto è vicino alla Causa delle cause, e minore sarà il suo grado di relazione con la realtà intesa nel suo complesso. I principi universali sono emanazioni, effetti quindi, principiali. Significa che il loro effetto coinvolge ogni aspetto dell’esistenza attraverso un’azione che è esercitata al di sopra dell’esistenza stessa. Ogni principio universale, non partecipando all’esistenza che come modalità legiferante, è al di fuori dell’esistenza, allo stesso modo in cui, anche nel relativo, ogni causa è esterna, nella sua essenza, agli effetti che produce. La prima divisione che si attua dalla riflessione dell’Assoluto è chiamata, non essendoci altro modo per definirne la natura, “Non esistenza” la quale contiene l'esistenza in potenza. La stessa realtà che l’uomo chiama “Dio”, essendo Causa dell’esistere e dell’essere, deve rientrare nel Non essere. Per questo chiedersi se Dio esiste è, nella visuale centrale metafisica, contraddittorio, perché l’Assoluto è più dell’esistere, essendo l’esistere un’affermazione e ogni affermazione un’esclusione di ciò che non rientra in quell’affermazione. La gerarchia nella quale i principi universali sono ordinati tra loro ha, come punto di riferimento per essere stabilita, la centralità del principio primo, che è immagine riflessa dell’Assoluto indiviso e che, attuandone le infinite possibilità, diviene indefinita attuazione di queste possibilità, suscettibili di divenire attuali. La realtà è anche formata da realtà che devono ancora essere espresse perché in attesa della maturazione degli eventi che le esprimeranno, e anche da altre possibilità di Non manifestazione le quali esistono pur non potendo manifestarsi attraverso le leggi della manifestazione. Tutto questo è una necessità che è consequenziale ed estensiva della prima divisione nella “Non esistenza” e dell’esistenza conseguente. Si deve dire che la “Non esistenza” comprende in sé tutte le possibilità dell’esistenza non ancora espresse. Nella realtà che conosciamo (si dice per dire) l’informale e il formale ne sono lo specchio. Per dare un esempio della gerarchia nella quale sono ordinati tra loro i princìpi universali prenderò a esempio la qualità e la quantità. Sono, questi due, principi universali a sé stanti, su un primo piano di osservazione, nel senso che il primo di essi legifera l’aspetto qualitativo universale mentre il secondo quello quantitativo. Ognuno dei due è caratterizzato da due estreme e opposte polarità che racchiudono, nella distanza ciclica che le separa, l’indefinita gradazione di realtà possibili tra questi due poli. Queste realtà, qualitativamente intese per il principio della qualità e quantitativamente per quello della quantità, hanno una modalità ciclica di estensione, come tutto il resto delle possibilità universali che ruotano attorno al proprio principio con una struttura a spirale. La spirale è il modo attraverso il quale il movimento universale si esprime. La qualità pura e la quantità pura si trovano al di fuori (usando una simbologia necessariamente imperfetta, perché riferita all’estensione spaziale) della manifestazione relativa. La prima è forma, sinonimo della perfezione qualitativa dell’Assoluto, perfettamente compiuta e immodificabile che feconda l'uniformità della perfezione quantitativa differenziandone le caratteristiche, seconda espressione dell’Assoluto, che è la sostanza. Nell’allontanamento ciclico dalla perfezione la qualità trova modo di esprimersi attraverso la quantità che le fornisce l’appoggio necessario a che si compia una totalità relativa. Qualità e quantità, nella manifestazione della realtà relativa, non possono mantenere la purezza principiale, dato il loro allontanamento dalla perfezione centrale, e ognuno dei due principi conterrà l’altro in potenza e divenire. Qualità e quantità, considerati sullo stesso piano di manifestazione, si contrapporranno tra loro, divenendo due poli di una stessa realtà che vedrà uno dei suoi poli diminuire d’intensità con l’aumentare del polo opposto. La gerarchia nella quale qualità e quantità si trovano è in relazione al grado di prossimità al centro dal quale entrambi traggono la loro ragione d’essere così che, essendo la qualità la prima espressione della divisione originata dalla riflessione dell’Assoluto, essa sarà superiore alla quantità che fornisce la materia prima attraverso la quale la qualità potrà esprimere le proprie, peculiari, caratteristiche.
I princìpi universali, pur essendo fissi rispetto al movimento non sono assoluti, perché nessuna molteplicità può esserlo, l’Assoluto essendo unico e indiviso. Se ci fossero due assoluti ognuno dei due sarebbe il limite dell’altro, mentre per Assoluto si deve intendere privo di relazioni, privo di estensione, di durata e senza polarità. Capisco che questa non sia la sede appropriata per esporre metafisica che, ricordo, non è conoscenza di mia proprietà, né invenzione di qualche altro individuo come io sono. La metafisica può essere guardata, vista, considerata, ma mai inventata. La ragione che motiva i miei interventi nasce, però, dal bisogno che deve avere ogni considerazione riferita a ogni aspetto dell’esistenza, di riferirsi a dei princìpi. Questo perché se non si procede da princìpi, che sono al più basso grado di relatività nei confronti della centralità dell’esistenza, le deduzioni conseguenti saranno disordinate e accidentali come la visione della stessa esistenza quando non è ordinata dalla conoscenza dei princìpi dai quali procede. La metafisica è il modo di considerare la realtà dalla posizione di centralità delle leggi che la determinano, e costituisce l’unico modo per non escludere nessuno dei punti di vista individuali posizionati sull’esteriorità della circonferenza della realtà, dando a ognuno di essi la giusta collocazione e il giusto valore, qualitativo e quantitativo, riferito alla centralità che ha generato ognuno di essi.
La metafisica è una ed è la dottrina che nasce dalla visione diretta e immediata dei princìpi universali. È il frutto, per tutti gli individui che ne hanno consapevolezza diretta, di una stessa visione interiore, sovra individuale e sovra razionale. Sovra razionale non significa “irrazionale”, ma che oltrepassa la capacità che ha la logica di comprendere interamente la Verità della quale è un effetto. L’Essenza centrale della metafisica non è comunicabile in ragione della sua non relatività, ma le conseguenze di questo vedere che è “assolutamente certo” possono essere tradotte, pena la perdita della loro essenzialità, a livello consequenziale, discorsivo e mentale, come ho tentato di fare in questo scritto, con tutte le limitazioni che mi distinguono e distanziano dall’esporre in modo impeccabile la Verità dei princìpi. Quando si parla dell’Uno diventano molti, diceva, con ragione, una santo. La metafisica forse sarebbe meglio tacerla, piuttosto che deformarla, considerato che la perdita conseguente della sua Essenza la rende sterile esercizio teorico. Certo è che per uscire dal piano della teoria fine a se stessa occorre mettere in pratica i valori che la vista dei princìpi mette davanti alla coscienza individuale, allo scopo di trasformarla in consapevolezza attuata. Per questo la consapevolezza metafisica deve essere portata a realizzazione. Per questo è concessa a pochi e per questo che ancora meno sono quelli, tra questi pochi, che faranno un solo passo in avanti in vista della realizzazione delle possibilità che aspettano di essere verificate. Riferendosi ancora a qualità e quantità devo ricordare che la qualità è meno determinabile, in ragione della sua prossimità al principio primo, della quantità, la quale può essere misurata facilmente, quando non si tratta di grandezze incommensurabili. La qualità, invece, nell’estensione relativa è misurabile dalla direzione spaziale (sostanze composte dalle stesse molecole, per esempio i carboidrati, assumono connotazioni diverse in conseguenza della disposizione spaziale, il diverso orientamento quindi, delle molecole stesse), mentre nella sfera spirituale dei valori è determinabile dal senso delle intenzioni individuali o collettive.
Si può, da questo, dedurre il grado della diversa vicinanza dei due princìpi al principio che li unifica nell’Essenza principiale, essendo la misurazione materiale di un ordine inferiore a quella determinata dal senso.
















martedì 24 agosto 2010

Fate largo!


—Permesso... fatemi passare che devo consegnare un dispaccio urgente!
—È mai possibile che ci siano file di persone anche qui, dove c'è tutto questo bendidio?
—Devo correre per arrivare in tempo alla consegna, epporcomondo... bestie che non siete altro... fatemi passare
—Anf... anf... che sudata... tiè! Beccati questa, stronzo!—

—Mi scusi, ma che bisogno aveva di darmi una gomitata nell'occhio?—

—La prossima volta spostati chessennò te ne becchi un'altra nell'altro occhio
—Fate largo, fate passare, ho da fare una consegna urgente!
—Maledetti disoccupati perditempo... fate largo ho detto!
—Ehi tu, piccoletto pelato, ti vuoi spostare o devo spezzarti la schiena?—

—Guarda che sei arrivato al Centro—

—Ah, non ci avevo fatto caso, il Paradiso è così vasto che credevo di dover correre ancora per chi sa quanto—

—Cosa dovevi consegnare e a chi?—

—Ah... niente, era solo un espediente per fare in fretta—

—Ma qui il tempo non corre e la fretta è solo dentro la tua anima—

—Ma chi sei tu, piccoletto sfrontato, per dirmi cosa devo o non devo fare?—

—Io sono la Via, la Verità e la Vita—

—Occazzo! Sui crocifissi in terra eri più alto, magro e avevi pure dei bei riccioli biondi...—...

sabato 14 agosto 2010

Bilie


Jhvh, il Dio degli ebrei e Allah, il Dio dei musulmani, stavano giocando a bilie in un cielo ancora vuoto dove i danni, nell'eventualità di tiri sbagliati, sarebbero stati limitati. Entrambi non erano dei gran tiratori, e non avevano la prudenza che caratterizza l'Assoluto, loro Padre e diretto superiore.
Di bilie ne avevano un'infinità, perché l'Assoluto non ha limiti creativi e, anzi, non ce n'era una che fosse uguale all'altra.
Avendone così tante nessuno dei due Dei giocava al risparmio, e sprecavano colpi su colpi, non preoccupandosi di dove le bilie sarebbero cadute.
Il tempo ancora non esisteva e nessuno potrebbe dire, con precisione, quanto quei due giocarono, anche se oggi si ipotizza fosse l'equivalente di una settimana senza il sabato né il venerdì. Sicuro è che, a un certo punto del gioco, presero a litigare tra loro. Nessuno dei due era assolutamente perfetto come l'Assoluto Padre e, in fondo, non avevano nemmeno bisogno di quella perfezione, dal momento che ogni loro errore sarebbe precipitato nel vuoto cosmico di un universo che ancora non esisteva. Cosa quei due avessero da litigare non si può dire, e non perché non lo si voglia. Non c'è bisogno di ricordare che litigano ancora oggi, e che non è consigliabile metterseli contro, attribuendo ragioni e torti arbitrariamente.
Intanto quelle bilie precipitavano, attirandosi e respingendosi, in un ruotare impresso dalla relativa perfezione che ogni regalo dell'Assoluto Padre ha in sé, come risultato del legame che ogni effetto ha con la Causa che l'ha voluto.
Poiché quando una cosa piccola si allontana dal Centro creativo, che è sua ineffabile culla senza contorni, prende forma e sostanza, qualità e quantità, un sopra e un sotto, un dentro e un fuori, le bilie s'ingigantirono alquanto.
Una di queste bilie cadute, proprio quella della quale i due Dei si litigarono la paternità, portava impresse sulla sua superficie le impronte di Jhvh e di Allah, insieme a gocce del loro sangue.
Da quell'unto il sangue bevve, rinvigorì e crebbe, e ancora oggi riempie corpi che perpetuano, nei figli, il peccato originale dei Padri.

mercoledì 11 agosto 2010

Libro elettronico o cartaceo?


Orgoglioso del suo lettore elettronico passeggiava nel parco, costeggiando il laghetto dove starnazzavano una dozzina di papere non alfabetizzate e che, di conseguenza, non potevano apprezzare la magnificenza di un'innovazione tecnologica che faceva a meno della polvere da sparo. Il libro all'interno del supporto digitalizzato si stava facendo intrigante, tanto da farlo sudare dall'eccitazione; spesso i racconti erotici hanno questo inconveniente. Anche le sue mani divennero umide, lasciandosi sfuggire il lettore che cadde a terra, facendo un rumore che frantumò l'illusione di perennità delle nuove tecnologie. Lui non era uno sprovveduto, e aveva riempito la sua sfiducia nell'elettronica con un formato cartaceo dello stesso libro, tascabile con copertina morbida di carta riciclata. Lo trasse, mentre mollava un calcio alla salma del lettore a terra, dalla tasca posteriore dei larghi jeans, e lo aprì alla pagina dove l'altro si era fermato. Sarà stata la difficoltà di mettere a fuoco la nuova e più morbida visuale stampata, o forse per la distrazione di uno dei suoi occhi, divertito alla vista delle papere che si litigavano un transistor, ma un suo piede non s'avvide di una buca e lo slancio inflitto dalla caduta fece decollare il libro, che si tuffò tra le paperelle inorridite. Lui, sdraiato a terra, non poté evitare di guardare il cielo, nella perdita della speranza di continuare a leggere i gridolini di piacere che i due protagonisti della storia cacciavano. Com'era bello il cielo, e due nuvole che si sormontavano gli ricordarono di tutto, tranne i due amanti che continuavano a godere, sollevando onde di piacere che le papere non apprezzarono.

lunedì 9 agosto 2010

Timidezza


Nascere timidi è quasi peggio che farlo con sfacciataggine, perché se la seconda disposizione d'animo raccoglie un'enormità di brutte figure, tra le rare soddisfazioni, la prima assicura l'indifferenza totale del mondo, esclusa la sua parte malvagia.
Io sono nato sfacciatamente timido, e di peggio c'era solo il non nascere affatto.
Trovo stupefacente che l'universo mi abbia tenuto un posto dove soffrire in pace nella mia solitudine, perché significa che si è accorto della mia presenza.
Almeno lui.
Uno dei vantaggi della solitudine è che ti dà il modo di riflettere, lo svantaggio sta nel fatto che l'argomento di riflessione è sempre il medesimo: la solitudine.
Oggi ho scoperto che anche il cielo è timido. Come spiegare altrimenti le sue sfuriate?
In fondo l'introversione ti consente di non partecipare al caos della vita, e te la fa osservare dall'alto della paura di esserne coinvolto. Questo starne fuori occasionalmente scatena emozioni fulminee e fa lacrimare, in un vuoto di speranze analogo a quello del cielo.
Mi sono accorto che un lato della natura è timido come lo sono io, l'ho visto nel frinire dei grilli che non si vedono mai, nelle albe che non accendono il sole di colpo, nei morti che scompaiono senza salutare.
Lo capisco dai sussurri d'amore, che diventando urla dicono di un amore finito.

Nel vento che mostra alle foglie di essere anche delicato, nella luce che accende gli occhi quando la memoria si sveglia.
Il segreto celato dietro all'evidenza degli orizzonti è timido, eppure amorevole, nel suo non voler accecare di luce menti colme di tenebra.

domenica 8 agosto 2010

La matrice del Fato


Che non si nasca da zero gli pareva un'ovvietà, e non avrebbe potuto pensarla diversamente dopo aver vissuto un'esistenza che ricordava il concerto di un violino stridulo, al quale mancavano metà delle corde. Gli eventi che avevano spostato gli obiettivi che rincorreva avevano tutti lo stesso accordo: il no.
Era nato in corsa, sobbalzando nella pancia di sua madre, mentre lei correva al pronto soccorso rilasciando una scia d'acqua dietro di sé.
Un forcibe gli afferrò la testolina ancora molle, trascinandolo fuori dalle contrazioni per sbatterlo in mezzo al mondo. Nella sua vita si impresse la feroce piega di un destino che ricordava quello di una mosca, atterrata sul piatto girevole di un vecchio grammofono che, dopo averle spezzato le ali, le regalava l'opportunità di dover schivare il chiodo saltellante di una puntina nevrotica che correva.
A scuola arrivava sempre in ritardo, correndo come un ladro per riuscire a copiare i compiti da qualche caritatevole compagno.
Ormai, per lui, correre era la consuetudine e questa inclinazione lo avvantaggiò, sia nel lancio di bottiglie molotov, che nella fuga subito dopo.
Non gli sembrò nemmeno sconveniente, finita la scuola, rifiutare il lavoro per raccogliere i frutti dell'urgenza di un vivere che non mette a fuoco la vita, così si specializzò nel borseggio con destrezza.
Sfilare portafogli, defilarsi e poi fuggire, non lasciava spazio alla riflessione anche se, a volte, pure il riflettere gli consigliava di correre.
Corse il cellulare che lo portò in prigione, e pure l'ambulanza che da quel carcere lo condusse al neurodeliri, dove pillole rosa non riuscirono a tenere seduta la sua ansia.
Oggi c'è stato il suo funerale, seguito da pochi amici in libertà condizionata o in permesso speciale. È stato l'unico momento calmo della sua non vita, almeno fino a quando un pietoso insetto non convinse il cavallo a rispettare il Fato che, fino a quel momento, aveva guidato il feretro che ora lui stava accompagnando all'ultima dimora. Un nitrito incontenibile si alzò al cielo, e fu preludio dell'ultima cavalcata che, di corsa, passò oltre a un cimitero esterrefatto e invidioso. Nessuno ebbe dubbi che la sua anima sarebbe entrata, nei gironi infernali, trafelata e speranzosa di non doversi fermare lì.

sabato 7 agosto 2010

Le radici dell'io


Dove volete che siano le radici dell'io?
Quale sarà la matrice centrale della realtà che genera le individualità particolari?
Se l'io è ciò che ci fa sentire identici a noi stessi, e centrali al cambiamento continuo del nostro organismo, quale natura dovrà avere la Centralità universale, sempre identica a se stessa, nonostante il variare incessante delle proprie manifestazioni?
L'essere è un microcosmo analogo al macrocosmo universale, e l'io di ogni individuo è il riflesso della Centralità universale che tutto permea, così che le radici dell'io sono necessariamente legate al loro principio. Tanto quanto ogni io è diverso da ogni altro, l'affondare le sue radici in Ciò che è uguale per ognuno è l'obbligo dato dall'universalità che si deve riflettere nella molteplicità di ogni sua forma particolare. L'uomo chiama Sé spirituale questa centralità, che non è in opposizione all'io individuale, perché l'universale non si oppone all'individuale, ma lo comprende avendolo generato.

lunedì 2 agosto 2010

Il Maestro di nessuno e la chiave


L’iniziazione spirituale è un evento misterioso, e non potrebbe essere altrimenti, perché costituisce la via attraverso la quale i princìpi universali, che reggono la realtà modulandone il dispiegamento, sono svelati dal Mistero assoluto. È il fiat lux, interiore e silenzioso, immagine di quello dal quale il caos nel generoso buio si è manifestato nel brillare che ci contiene, sovrasta e penetra.




Un uomo si ergeva in modo che nessuno potesse notare la sua stanchezza, perché aveva una funzione da svolgere, assegnatagli dal Mistero: accompagnare i discepoli spinti fino al suo eremo, dal Mistero in persona, a essere pronti alla visione della Verità unica senza, per questo, dover impazzire.
A questo scopo vestiva curando che il suo aspetto suscitasse riverenza e timore, in chi gli domandava sul sapere che lo teneva dritto e candido, in quella grotta umida e fredda, che costringeva tutti a piegarsi.
Lui sorrideva dentro di sé, in quello spettacolo per tonti che aveva escogitato, allo scopo di spingere fuori strada coloro che percorrevano i pericolosi sentieri delle alte cime, nell'intento di porre a lui questioni che non potevano essere soddisfatte a parole.
Lo chiamavano Maestro quando, in realtà, lui mostrava il contrario della Verità.
Non che dicesse falsità, parlava così poco che in quel poco non restava spazio per dire bugie, ma la rigidità dei suoi modi duri, i suoi abiti e la fermezza della posizione instancabile che teneva da anni, incurante dei capricci del gelo di quelle altitudini, gli conferivano un'aura di potenza misteriosa che solo la consapevolezza spirituale poteva concedere, e solo all'eletto che non aveva temuto la vittoria sui propri limiti.
Lui sapeva bene che se avesse indicato la giusta via, diversa per ognuno, a ogni aspirante che gli chiedeva indicazioni interiori, avrebbe commesso uno sbaglio difficile da riaggiustare. 
Così aveva messo in piedi quel ridicolo teatrino, come se la Verità si trovasse celata in mezzo alla pienezza contenta di sé, lasciando l'impressione che il Vero fosse una specie di rigoroso temporale dell'anima che non aveva più un tetto sulle proprie, infinite, aspirazioni.
Quale altro modo per conoscere le reali intenzioni di chi si avventurava sino a lui?
Solo a chi avesse avuto la forza e il carattere di non cadere in quel tranello, avrebbe potuto comunicare il Silenzio che prelude alla visione del Vero che si mostra in abiti che la Verità non ama.
Quando lui era ancora un giovane contadino, primo di nove fratelli e senza il diritto di aspirare alla vita monastica, si ruppe una gamba in seguito alla spinta di uno Yak, su un sentiero a quattromila metri di altitudine. Fu soccorso dal pastore più mal messo mai incontrato, più ignorante delle sue stesse bestie il quale, oltre a curargli il corpo, gli spostò lo sguardo verso l'interno di sé senza che lui potesse avvedersene. Nei giorni successivi, tornato al suo villaggio, una misteriosa serie di domande attorno al perché della vita gli si affacciò inusualmente alla coscienza, che sentiva la necessità di ordinare le inaspettate intuizioni del suo spirito, in modo che la mente potesse considerarle attraverso la logica. Fu un'esperienza terribile, perché quando la Verità dei princìpi sui quali la realtà è fondata si mostra, per prima cosa ti mostra ciò che sei nelle tue reali intenzioni. Al primo sconcerto, che si protrasse per un'intera luna, si sostituì lo stupore di non aver mai saputo guardare i legami che annodano tra loro tante parziali verità ferite, alla perfezione dell'unica e indivisa Verità. In seguito fu la meraviglia a prendere il sopravvento sugli altri stati d'animo, che stavano a bocca aperta sullo spuntone di roccia che apriva lo sguardo dell'Intuire alla visione di un insieme che comprendeva l'alto e il basso, il dentro e il fuori di una magnifica realtà che stava tutt'attorno al centro dal quale un nuovo e diverso osservare valutava ciò che, per ora, riusciva a scorgere della possibilità universale. Quel vedere era solo il primo passo mosso verso l'ignoto, e lui lo capiva allo stesso modo di un bimbo che sente il bisogno di muovere anche l'altro piede dopo aver spostato il primo verso il centro di sé. 
Non ebbe modo di incontrare una seconda volta quel pastore, anche se lo cercò per anni, e quando raggiunse finalmente la capacità di essere sincero e rispettoso con se stesso, poté ascoltare la Voce del Centro, rispetto alla quale la sua vecchia coscienza, di cui quest'ultima aveva preso il posto, gli appariva come un servo sempre disposto a farsi comprare.

Molte nuvole avevano attraversato il cielo della sua mente, da allora, più di quante assediavano le alte cime che lo deridevano in silenzio, e ancora tanto lungo appariva il sentiero da percorrere che conduceva alla montagna invisibile, quella così piccola da stare dentro all'attimo.
Lui ascoltava la Voce silenziosa e smascherava ogni impossibilità che si scontrasse con la Legge che gli si mostrava nuda, in tutto il fulgore di un'Intelligenza alla quale lui si dissetava.

La Voce aveva condotto al suo anfratto spoglio altri assetati, ma lui sapeva di non poter dar loro da bere. Dovevano imparare a riconoscere da soli la fonte, perché l'Essenza non zampilla dalle parole, come l'acqua non sgorga prima che un'apertura interna lo consenta.
Intimoriva le persone con gesti severi, gli stessi che usava per accarezzarle senza farsi scorgere; le lasciava all'aperto a consegnare le loro invocazioni al vento pungente, che non osava introdursi nello scomodo giaciglio di un vecchio pazzo, perché il vento teme la calma.
Molti tornarono presto sui loro passi delusi, altri tennero duro a lungo, ma mai nessuno fu disposto a rinunciare alle proprie opinioni.
Lui era il Maestro di nessuno, e ignorava ancora molte cose del Mistero, anche di essere chiamato così nelle valli sottostanti.

Una notte arrivò da lui un ragazzo il quale, sfinito dalla fatica e mezzo congelato, gli svenne davanti. 
Il Maestro di nessuno lo portò nell'anfratto roccioso, e lo riscaldò con gli occhi senza neppure toccarlo.
Il mattino seguente un'oscura tempesta frustò di scaglie gelide la grotta, impedendo al ragazzo di guardare i disegni coi quali le stesse leggi che danno forma ai pensieri si divertono a immortalare nelle pareti la fantasia delle forme, sempre diverse, che imprimono onde in quel mare di roccia.
Due giorni dopo il cielo si distese d'azzurro, e la montagna poté riguadagnare la vista sul mondo. 

— Cosa cerchi?— chiese il Maestro al ragazzo

— Maestro…— rispose il giovane
— Sto cercando la chiave che apre tutte le porte—

— La chiave serve solo se c'è una porta da aprire, e la porta è costruita dall'uomo per nascondere ciò che non riesce a immaginare— disse, senza alzare gli occhi dal vuoto, il vecchio saggio
— La chiave è forgiata dal punto di vista dal quale si osserva il mondo, e ogni punto d'osservazione non vede l'orizzonte dall'altro lato
— È per questo che tante sono le chiavi quanti sono gli occhi che guardano—

— Ma io cerco la sola chiave che apre tutte le porte del Cielo— insistette il giovane

— Quella non è una chiave— rispose il Maestro
— Perché la chiave è forgiata dalla domanda e se la domanda cambia, la chiave non entra più nella serratura della risposta
— La chiave che dà la risposta ha un profilo adatto alla domanda fatta, e a ogni domanda corrisponde una risposta che nega quella domanda   e avrà una chiave diversa che le si adatterà
— Per questo la chiave delle chiavi non è una chiave—

— Cos'è, allora, Maestro?—

— Per rispondere all'infinita creatività del Mistero è necessario poter vedere le leggi stabili che da Quello si allontanano—

— Come fanno a essere stabili se si allontanano dal Centro immobile, Maestro?
— Non devono muoversi per allontanarsene?—

— Sì, devono muoversi come si muove il sole, che mantiene una fissità maggiore dei pianeti che gli ruotano attorno, nei confronti del Sole di tutti i soli
— Le leggi fisse dell'universo non sono assolute, l'Assoluto è unico e senza parti, ma sono la realtà più vicina a Quello e si allontanano dall'Assoluto portando l'Assoluto dentro di sé—
— Queste leggi sono al centro dell'universo e di ogni cosa che è nell'universo
— Sono la voce e la volontà di Libertà dell'Assoluto
— Sono le sbarre della prigione che conduce a essere liberi—

— Quali sono queste leggi, Maestro?—

— Io posso soltanto dirti dove puoi andare a cercare senza possibilità di trovare
— La tua mente non può trovare la Verità cercandola
— Il tuo cuore non troverà l'amore cercandolo
— L'Amore troverà te se avrai il cuore aperto
— La Verità ti troverà se avrai la mente vuota—


Il giovane guardò il Maestro e capì il perché del suo nome. Uscì da quella grotta più confuso di quando ci era arrivato, ma nei giorni seguenti una miriade di domande che non si era mai posto prima gli affollarono la mente e il cuore, e i princìpi che regolano vita e morte gli si mostrarono nella loro imperturbabilità. Fu un'esperienza terribile, perché quando la Verità dei princìpi sui quali la realtà è fondata si mostra, per prima cosa ti mostra ciò che sei nelle tue reali intenzioni.