venerdì 19 febbraio 2016

Come fosse un morto vivente

Come fosse un morto vivente

Accade spesso che alcune persone, invecchiando, acuiscano i difetti che avevano anche da giovani, e lo fanno attraverso l’esaltazione della propria cattiveria.
È un peggioramento inevitabile dovuto alla negazione, protratta per molti anni, della possibilità di riconoscere la propria responsabilità nei confronti delle sofferenze che la vita ha loro inflitto. Chi dà sempre ad altri le colpe della propria difficoltà di vita, escludendo il proprio coinvolgimento nelle cause di quel soffrire, si trova nella stessa condizione di chi, negando a priori una verità, perde l’accesso alla comprensione di quella verità.
Così, senza neppure accorgersi, chi si ritiene sempre innocente perché giustificato dalle circostanze avverse, sviluppa col passare del tempo una acuta sofferenza psichica data dall’aver oscurato, velo sopra velo, la propria coscienza.
L’allontanamento dalla verità innalza un muro di energia psichica edificato, mattone su mattone, dai pensieri positivi su se stessi e negativi sulle altre persone.
In questa prigione costruita da sé, senza poter prevedere che essa avrebbe sottratto l’aria necessaria alla vita, la persona soffoca senza sapere il perché, e si arrabbia ancora di più in ragione del non potersi spiegare le cause di quella pena.
Rinchiuso in se stesso l’individuo si allontana gradualmente dagli altri, che vedono in lui solo la follia dell’essere pieno di sé, senza alcuna capacità di comprendere le ragioni altrui.
Agendo in questo modo l’individuo emana l’energia dei propri pensieri, e delle azioni conseguenti, che determinano un’aura negativa attorno a sé.
L’organismo si intristisce e si ammala di conseguenza, in questo precipitare nel buio psichico dell’incoscienza voluto dalla falsa idea positiva avuta di sé, inconsapevolezza mantenuta in vita come fosse un morto vivente.