mercoledì 28 luglio 2010

Siamo così in pochi



Io ci ho provato, ignorando i consigli degli antichi maestri, nella convinzione che fosse possibile, se non proprio comunicare la centralità dell'Essenza, che è assolutamente incomunicabile, almeno a dire dei princìpi dell'universo e la logica che da questi è ordinata.
Mi pareva assurdo pensare soltanto al mio lavoro interiore, e poi raccogliere erbe mediche da vendere al mercato, come i saggi di un tempo suggerivano di fare, per non correre il rischio di essere individuati e messi al rogo.
Noi siamo così in pochi, sempre meno che in passato, e conosciamo tutti la stessa cosa, della quale non possiamo dire perché non è una cosa, non può essere confrontata e non ha contrari. Io ho sempre vezzeggiato la parola, e attraverso il parlare ho girato attorno, innumerevoli volte, al Mistero silenzioso, aggirando la sua superficie nel tentativo di dare una flebile forma al niente che da Quello promana, nell'insensato bisogno di ricambiare il dono che da Quello inspiegabilmente ho ricevuto.
Siamo così in pochi a dover tacere attraverso di Lei, l'Intelligenza silenziosa che non ci appartiene, e ci usa come dev'essere utilizzata la Libertà.
La libertà di non poter dire di Lei senza essere giustamente considerati ridicoli usurpatori del diritto che ognuno ha di guardare da sé la Verità che non appartiene a nessuno.
Alcuni di noi, i migliori tra noi, sono stati macellati dalle piccole intelligenze che non sopportavano i miracoli fatti dal vuoto del Cielo. Altri come noi, si sono chiusi nella caverna del cuore, serrando i loro occhi fisici alla presenza necessaria dello stupido male.
Siamo così in pochi, noi che vediamo questo miracolo grande, così immenso nel suo essere piccolo, che altri diversi da noi ne sospettano la presenza solo quando hanno timore di subirne il giudizio.
Se noi non fossimo così in pochi questo mondo scivolerebbe più lentamente verso il baratro che si è scavato, e che implica la propria fine, e forse siamo così in pochi per non poterne più arrestare la corsa. La morte è necessaria per l'uomo che è nato, come per la civiltà che lui ha eretto, ma la morte in uno stato dell'essere è nascita in un altro stato, e non c'è una morte che non sia contemporaneamente un'altra vita, a parte quella che si ricongiunge alla Libertà assoluta. Noi pochi a questa Libertà ci rivolgiamo, amandola senza doverle sacrificare altro che noi stessi.

sabato 24 luglio 2010

Storie vere



Per chi ama scrivere, creando da quel nulla che ogni scrittore si ritrova a essere, raccontare storie vere è una tortura. La verità costituita dalla realtà non va troppo d'accordo con chi le preferisce storpiature fantasiose, da far passare come fossero preferibili agli accadimenti reali. Non che la fantasia non abbia il suo legittimo grado di realtà, se c'è è reale anche lei; come i miraggi può condurre a perdersi tra le dune dei desideri impossibili a realizzarsi se non nei sogni notturni. Naturalmente anche i sogni sono reali, nel loro proprio dominio, e possono farti scoppiare il cuore di paura.
La realtà, per difendere la propria consistenza, non smette di sottolineare come contraddittorie e insostenibili tutte le ipotesi che l'uomo le disegna attorno. In tutte queste formulazioni di matrice umana qualcosa di essenziale è sistematicamente occultato, nella speranza del formulatore che nessuno se ne accorga. Per fortuna la realtà è totale, occupando tutti gli angoli dell'universo, e tace, ruotando attorno agli uomini come una cacciatrice armata di frecciatine velenose, che scocca appena ci dimentichiamo della sua presenza. Lei usa diversi tipi di veleno da spalmare sulla punta dei suoi dardi, il più pericoloso dei quali è l'incantamento d'amore. Sì, perché insieme all'amore ci mischia l'odio. Se così non fosse ci ritroveremmo tutti ad amare tutti senza alcun merito, e la vita perderebbe di significato e valore, senza contare la gelosia che questa follia susciterebbe. Diversamente, se si diventasse capaci di amare senza dover possedere l'oggetto amato, allora la gelosia perderebbe il suo peso possente, e il volersi bene non si trasfigurerebbe nell'ammucchiata cosmica che il "Partito dell'amore" auspicherebbe. Il Presidente di questo Partito ha un'impellente necessità d'amore, che contraddistingue tutti coloro che hanno dovuto, per contingenze superiori di ordine economico e politico, trascurare la sfera affettiva che, per loro, è diventata come una palla da bowling che resta agganciata a dita diventate artigli.

Dita


Questa cosa dell'appartenere a un pirla che crede di essere uno scrittore ci fa impazzire dalla gioia. Lui crede di essere padrone assoluto delle sue dita, mentre noi lo compatiamo solidali. Non che sia facile padroneggiare i suoi pensieri, ma se ci si mette d'accordo non è difficile dargli l'impressione di essere lui a scrivere. La manovra è un poco complessa e differente per ognuno di noi, in dipendenza dei legami sinaptici che abbiamo coi dendriti del suo, chiamiamolo pure, cervello. Sono collegamenti incrociati di ardua gestione, se dovessimo agire in dieci, ma per fortuna il cretino usa solo due di noi, io e il mio corrispettivo dell'altra mano, quelli che di solito usa per mandare affanculo il mondo. Non è strano che, per farlo, l'uomo usi il dito medio, proprio quello che, rappresentando la via di mezzo, dovrebbe essere il più equilibrato? Ma non stiamo a sottilizzare sui misteri dei meandri dell'animale di cui siamo una parte più attiva di quanto lui creda, e concentriamoci sul da farsi, ché lo scemo si sta organizzando per scrivere le solite quattro idee rimescolate tra loro con quella che chiama "creatività". Si tratta, in fondo, di essere più veloci del suo pensiero che, vi assicuriamo, è cosa da niente. La strada che deve fare l'ispirazione, povera in canna che quello si ritrova, per arrivare al risultato finale, è abbastanza lunga da consentirci di anticiparne i funesti effetti. Più o meno funziona così: lui, lo "scrittore creativo", vive alla cazzo pensando di essere un genio della sopravvivenza, e quando la noia lo ammazza si fionda alla tastiera del Mac, e apre la botola del suo ego. Da lì si accede ai bassifondi dell'anima che dà sulla scala a chiocciola che sprofonda nello spirito. Luogo misterioso anche per due dita intelligenti come noi. Da lì recupera una secchiata di sensazioni che lui chiama, pomposamente, "Intuizioni", e le riversa nell'androne della coscienza. Quella, disordinata com'è, le raccatta accumulandole nel pensiero che attiva i neuroni i quali, spintonandosi, ci inviano ordini. Ora che questi arrivano noi due abbiamo già iniziato a scrivere altro. Lui all'inizio ci rimane un po' male, ma poi si convince, essendo suo il corpo, di avere poteri straordinari e ride, meravigliato delle cose che gli consentiamo di leggere. È stupefacente che anche adesso, dopo questa nostra confessione, pensi di essere lui ad averla immaginata…
Noi dita, a differenza del cervello, siamo disponibili a essere lavate senza che questo modifichi la conoscenza che ci siamo fatte accarezzando la realtà. È per questo che affrontiamo gli avvenimenti considerandoli nei modi, delicati o cruenti, suggeriti dalle conseguenze che da quelli hanno avuto seguito. Noi dita raramente ci sentiamo a disagio, nell'anticipare le stupide posizioni preconcette che cervelli, privi di obiettività, adottano per non faticare nella ricerca di argomentazioni a sostegno.
È per questo che i cervelli con il compito di scrivere i libri di storia o le enciclopedie assumono dita prezzolate, dunque rese innocue, per digitare le loro falsificazioni.
Le dita, è noto, non hanno emozioni proprie, eccetto il disprezzo che nutrono per la dabbenaggine con cui i cervelli filtrano le informazioni destinate ad appesantire la loro incoscienza. Quando lo "scrittore" al quale siamo attaccate, e del quale riempiamo gli spazi lasciati vuoti dalla sua intermittenza intellettuale, era uno studente, si faceva acriticamente propinare delle balle cosmiche senza batter ciglio. Riuscirono persino a fargli credere che un guerriero di nome Attila, un Unno, sia stato il più sanguinario condottiero e Re che la storia ricordi ma, nel contempo, anche colui che si fece fermare, nella sua conquista facile, dalle raccomandazioni di un vecchio Papa di nome Leone e dal suo innocuo crocifisso.
Noi dita comprendiamo le gravose limitazioni di un cervello costretto dal non poter toccare di persona la realtà, che deve ribaltare le immagini che la retina gli invia al contrario, e che si schiaccia contro la fronte ogni volta che il corpo arresta, di colpo, la propria corsa, ma proprio per queste ragioni dovrebbe astenersi dall'elaborare ipotesi fantasiose sull'esistenza. Un rapporto con la vita afflitto da tante pesanti limitazioni dovrebbe indurre il cervello a emulare il comportamento dell'intestino, al posto di ergersi sulla cresta delle cime tempestose sulle quali alpeggia la consapevolezza universale.
Che il cervello si chieda chi traccia la croce del voto politico che lo metterà in croce.
È questo il modo attraverso il quale noi dita organizziamo i crimini del potere mafioso che governa il paese, e lo facciamo allo scopo di mostrare ai cervelli la loro inutilità.
Così come il cervello usa noi dita per esprimere consenso, dissenso oppure, in associazione ai coglioni, anche l'esecrazione della cattiva sorte, le dita minacciano il cervello di accecare quel poco di lui che vede. Il cervello non la prende bene e manda ordini che impongono alle dita di grattare distretti dell'organismo squallidi e puzzolenti. Non che le dita apprezzino granché questo suo senso umoristico, e lo si capisce dal fatto che prolungano la grattata tanto da far perdere il controllo al cervello che non può impedire un arrossamento che richiederà una grattata riparatrice aggiuntiva, volta a peggiorare una situazione che era già compromessa in partenza. Naturalmente quella appena ricordata non è la più sgraziata tra le possibilità che si offrono per aggravare un conflitto perennemente in atto tra l'intuire delle dita e il cogitare supponente della materia grigia; non bisogna infatti dimenticare che le dita si assumono la responsabilità di appiccare fuoco al corpo, mentre il cervello è intento ad autocommiserarsi, o a protestare per la vita grama della quale ha faticato a prevedere le nefaste conseguenze realizzatesi.
L'enorme vantaggio che noi dita abbiamo nei confronti del raziocinio (si fa per dire) che caratterizza il lavorio mentale dell'organo che occupa, abusivamente, il piano rialzato dell'organismo umano, sta nella maggiore distanza che ci separa dal Cielo e che ci concede di prepararci al peggio. Quello stesso Cielo misterioso che invia messaggi troppo carichi di valenze simboliche che, a tradurne il senso, c'è da perdere la gioventù. Noi dita, invece, non ci fidiamo dei gorgoglii sinaptici dei neuroni, che funzionano a impulsi elettrici come le lavatrici, e affidiamo il nostro intuire alla benevolenza dell'Intelligenza ordinatrice del Cosmo, la stessa che ci ha dato l'abilità e le unghie per pulire i condotti respiratori che consentono di inalare la vita dal Cielo. Chi avrebbe l'ardire di affermare che sparare a casaccio ipotesi sull'esistenza sia più importante del respirare?
Che gli frega al cervello di mancare il bersaglio con le sue idee balzane, buttate giù senza tenere in alcun conto le variabili capaci di trasformare un tetto protettivo... in una grondaia a penzoloni alla quale noi dita ci attacchiamo per salvare la pelle?

Nella particolare gerarchia in cui è ordinato lo specializzarci di noi dita, il primo posto non è occupato dalla presunta santità con la quale i cervelli predicano bene e razzolano male, ma dalle dita dei chirurghi che aprono i cervelli allo scopo di eliminare, senza esagerati danni collaterali, quel settantacinque per cento di cervello che nessuno sa a cosa dovrebbe servire. Tutti gli organi e i componenti del corpo umano sono commisurati alle loro funzioni, ma per il cervello la cosa pare non abbia importanza. Lui funziona con solo un quarto della sua massa fisica e un decimo di quella emotiva. Non è questo un
segno inequivocabile d'immaturità?