venerdì 30 maggio 2014

Unità anticipata


Due polarità in opposizione tra loro in effetti, su un piano più elevato di osservazione, sono una complementarità destinata a risolversi nell'unità della quale rappresentano la divisione nata per riflesso. In amore le cose non cambiano, ma le due persone che si amano profondamente sono già un'unità, prima ancora di risolvere definitivamente i problemi che hanno stando insieme

La conoscenza di sé


La conoscenza di sé è perfetta soltanto quando il proprio sé è perfetto e, per questa perfezione, non cambia più. Altrimenti è un conoscersi in divenire che insegue una verità che si sposta. Conoscersi significa conoscere la verità che ci riguarda, e non solo quella che ci fa comodo conoscere. Vuol dire rifiutarsi di mentire a se stessi, ed essere disposti a guardare nell'intimo delle proprie reali intenzioni. È un conoscere la Verità in un ambito, quello personale e interiore, dove la verità si sente più a disagio nell'essere conosciuta.

L'amore vero


L'amore vero non ama per essere riamato, ama perché è il suo modo di essere sacro...

Illudersi


Per me illudersi significa preferire il sogno alla realtà, ed è facile esserne preda, perché lo scopo del sogno è quello di riempire i vuoti incolmabili che la realtà non riesce a lasciarsi dietro.

Caso e accidente


Il caso è un nome dato dall'uomo a ragioni che pensa di non poter riuscire a riconoscere, mentre dell'accidente le ragioni le conosce, ma in ritardo sui fatti accaduti. Da una prospettiva generale l'esistenza è considerabile come un insieme di accidentalità.

mercoledì 28 maggio 2014

Apparenze ingannevoli

La natura sembra favorire i mascalzoni... ma lo fa per poterli abbandonare nel deserto quando la strada per tornare indietro sarà divenuta troppo lunga.

La mente

La mente è solo il mezzo che dà forma alle proprie intenzioni, e le intenzioni sono forgiate dalla personalità, la quale misura la distanza che separa lo spirito centrale, del quale siamo espressione, dalla superficie di ciò che abbiamo scelto di essere.

domenica 25 maggio 2014

Felicità bisognose

Tutte le persone felici sono nel contempo anche insoddisfatte, se non lo fossero la loro felicità non potrebbe rinnovarsi, e appassirebbe nella consuetudine. La realizzazione di un essere è superiore alla felicità, perché non contempla l'infelicità.

Dissimilitudini

Il male va dove c'è del bene da combattere, e non va dove c'è altro male, perché il sovraffollamento gli impedirebbe di trovare una sdraio libera...

sabato 24 maggio 2014

Incomunicabilità del Mistero

Quando si riceve un dono ci si sente in dovere di condividerlo, ma se quel dono è la consapevolezza dei princìpi il condividere diventa impossibile, ed è anche sconsigliabile ogni tentativo di comunicare ciò che di esso è comunicabile. Lo so da quando quella grazia mi ha investito come un treno al passaggio di livello alzato, eppure continuo a scrivergli attorno, pur non entrando troppo nella mia storia personale. Mi dico che anche se un solo individuo potesse cogliere la rigorosità logica della conoscenza universale, non sarà stata fatica sprecata l'aver mostrato qualche riflesso del Mistero, ma persone capaci di accorgersi anche di un solo bagliore non ne ho mai incontrate in ben più di trenta anni.
In fondo io stesso, negli anni della mia giovinezza trascorsi a cercar di comprendere la vita, avrei considerato folle chiunque avesse scritto le cose che scrivo.

giovedì 22 maggio 2014

Non era più lo stesso...

Qualcosa di inusuale doveva essere accaduto alla sua coscienza, perché la passeggiata fatta era la stessa di sempre, come lo era la panchina dalla quale fissava i monti, il lago e il cielo, ma lo stava facendo dall'alto di una consapevolezza diversa.
Ogni cosa che riempiva quel mattino era insolita, oppure era il suo modo di guardare che non era più lo stesso. I suoi pensieri, in compenso, erano confusi come sempre, perché rigettavano il modo nuovo di considerare la realtà che gli si imponeva, come se, non appartenendogli, stesse ordinandogli di aprire gli occhi. Temette potesse trattarsi del primo sintomo di un'imminente emorragia cerebrale, ma non provava nausea se non verso se stesso, e sapeva di meritarsela. Nessun giramento di testa, né vertigini gli stavano modificando la vista, ma le immagini che aveva attorno comunicavano attraverso significati che la loro esteriorità non nascondeva più.
Era come si fosse modificata da sé la qualità del fluire di pensieri che, invece di appartenergli e sgorgare dall'ignoto come da sempre facevano, avessero iniziato a procedere da un nuovo ordine interiore, attraverso una consequenzialità che, fino a quel momento, gli era stata preclusa.
Era accaduto tutto in un attimo, tanto lungo da mostrare l'illusione nella quale il tempo accumula debiti.
Tutto questo diverso vedere non poteva essere nato spontaneamente dal niente che stava dentro di lui, doveva essere stato lui a nascere dentro di esso, fecondato da qualcosa che gli era stata estranea fino a quel momento, oppure era il risultato di un fermento vitale, sempre presente in lui come possibilità di essere, che aveva maturato un seme che ora sbocciava riempiendolo di meraviglia.
Questo nuovo considerare la vita valutava tutte le direzioni possibili che la sua sete di conoscere osava percorrere, anche quelle che dirigevano i loro raggi all'interno di sé, e utilizzava la lotta per realizzare la pace.
A ogni pensiero se ne opponeva un altro, che gli contrapponeva una visione diversa generata da cause differenti che avevano altre ragioni di essere, e lui doveva osservare quel contrapporsi di forze dal centro di sé, ogni volta riconoscendo la natura delle verità che erano state offese, allo scopo di poterle guarire attraverso la loro comprensione prima, e i propri atti poi.
Gli sembrava di essere ritornato al tempo nel quale i bambini assillano gli adulti di domande, solo che ora l'adulto non era lì, presente, perché era lui stesso a doverlo diventare per poter rispondere a se stesso.

La conoscenza ha in sé il proprio guadagno, aveva letto da qualche parte, scritto da chi si guardò bene dall'aggiungere che quel guadagno, in soldoni, consisteva nella perdita del proprio egoismo...

mercoledì 21 maggio 2014

Senza il clangore delle armi

— Padre… sono stanco di lottare per vivere, ho bisogno di pace non della guerra
— Per questo ho deciso di chiederle quando potrò entrare nel Monastero, per liberarmi dalle costrizioni date dalla guerra perpetua—
— Vedi figliolo… la guerra è la via più breve per raggiungere la pace e, per inversione analogica, la pace è la via più lunga per arrivare alla guerra
— Ma prima o dopo ti ci conduce
— A meno che…
— La ascolto, Padre…—
— A meno che tu non decida di vincere la guerra che angeli e demoni combattono dentro di te
— Perché tutte le guerre dell'universo hanno inizio all'interno dell'essere, ed è lì che devono essere pacificate
— Il centro di ogni realtà particolare è a immagine del Centro che ha generato il tutto
— E ogni centralità individuale vuole essere il centro di tutto
— Per questo combatte le altre centralità
— Per smettere di lottare il nostro centro deve sovrapporsi al Centro universale
— E la sovrapposizione si attua solamente nella perfezione di sé
— Se è la perfezione che cerchi dovrai lottare contro le tue imperfezioni
— E il rifuggire la lotta non ti aiuterà—
— Capisco, Padre santo, dunque il Monastero è un campo di battaglia?—

— Sì figliolo, una battaglia senza il clangore delle armi, dove sono le lacrime a scorrere, non il sangue—

L'aforisma

L'aforisma è la sintesi di un pensiero lungo e arzigogolato che, alla fine, ritrovatosi in un punto imprevisto dal quale è stupito, decide di cancellare la strada fatta per arrivare fin lì... e di rivelare solo quello che si vorrebbe fosse un traguardo. Sovente quel traguardo è quello raggiungibile solo dalla pura imbecillità.

martedì 20 maggio 2014

Cosa l'Intelligenza è


L'intelligenza è la capacità che ha un essere di indagare e approfondire la conoscenza delle cause che determinano i loro effetti. L'intelligenza ha molti lati dai quali poter essere considerata, e non tutti sono egualmente sviluppati, ma essa procede da una propria causa, così si deve dire che ogni intelligenza individuale e soggettiva è il risultato personale di un'Intelligenza più grande che l'ha prodotta, e della quale la nostra intelligenza è figlia. Il modo personale di vedere le cose è chiamato "punto di vista", perché sulla circonferenza della realtà, intesa simbolicamente come fosse un cerchio, il modo di vedere le cose si trova a essere in un punto che ha, necessariamente, un punto opposto altrettanto vero che guarda la stessa realtà centrale, vedendola però in aspetti che la nostra limitata visuale non può cogliere, ma ignora quelli che vediamo noi. C'è un punto, però, che non è propriamente un punto di vista, perché vede la realtà non dalla circonferenza superficiale, ma dalla sua profonda centralità. Ecco il punto nel quale si trova l'Intelligenza universale che è madre di quella individuale. Dovere e compito di ogni intelligenza individuale è quello di sovrapporsi al centro della realtà, così da poterla osservare, dal suo interno, nelle sue ragioni essenziali d'essere che costituiscono anche i suoi princìpi universalmente applicabili, i quali sono le leggi fisse della realtà manifestata. Gi uomini che sono in grado di vedere la verità dal suo centro sono chiamati prima "risvegliati", e dopo tanta fatica e sacrificio... possono diventare quelli che l'umanità chiama "Illuminati" dallo Spirito che è assoluto.

La morale elegante


La vera eleganza morale consiste nel saper riconoscere che ogni morale è intrisa di sentimentalismo e non merita che disapprovazione, perché la conoscenza è essenzialmente intellettuale e al sentimento può essere concesso di giudicare soltanto quando la sua natura è incline al sacrificio di sé.

La vera libertà


Se c'è la costrizione, e c'è, le sue ragioni di essere stanno nella libertà che a propria volta è una possibilità, la quale deve essere portata a maturazione attraverso la conoscenza perfetta che l'intelligenza ha il compito di affinare. La vera libertà è assenza di costrizioni, ed è raggiungibile da chi è tanto giusto e veritiero da sfuggire alla persecuzione della vita.

Il peccato

Per essere un vero peccato deve offendere i princìpi di verità, quelli che convengono a tutti e non nuocciono a nessuno. Non di rado le molteplici morali umane, originate dall'intrusione del sentimentalismo nei princìpi di verità, assegnano le caratteristiche del peccato a ciò che peccato non è. Solo la pura intelligenza è in grado di riconoscere la verità e l'intelligenza, per essere pura, ha sempre bisogno di essere in armonia con la generosità di un animo puro.

L'Intelligenza universale

L'intelligenza, per sua natura, dà certezze solo quando non ci appartiene, perché la Verità non appartiene a nessuno e ci precede tutti sia logicamente che temporalmente. Qual'è quella Intelligenza che è possibile avere senza che ci appartenga? È l'Intelligenza concessaci dal Cielo, quella che "vede" la verità dei princìpi universali senza bisogno di ipotizzare o interpretare con il pensiero. Colui che "vede" la verità nell'immediatezza dell'Intuizione spirituale la vede, ma non la possiede, perché la Verità non la si può inventare. Costui è nella Certezza che ha la stessa infinità del Mistero assoluto, la quale non può esaurirlo.

lunedì 19 maggio 2014

Il vero amore

Il vero amore non lascia dubbi, perché ogni volta che si guarda la persona amata di quella persona si intuisce la sacralità interiore, che si manifesta lasciandosi amare per ciò che essa è: pura generosità disinteressata.

domenica 18 maggio 2014

Uomini giusti

Nessuno che sia giusto può essere inconsapevole della verità che rispetta, ma quando si sa di essere giusti si tende a nasconderlo, perché mortificare chi non lo è... non sarebbe giusto.

sabato 17 maggio 2014

La morte ci è amica


La morte ci è amica, e non avrebbe senso una sua sconfitta, perché essa non agisce, ma aspetta che sia la vita ad andarsene.

venerdì 16 maggio 2014

Io di fronte a me

Quella ripidissima scala, che conduceva alla stanza della musica pregata del Monkey Temple, mi stava spezzando le ginocchia e sui quadricipiti ci potevo friggere le uova.
— Fanculo a tutte le religioni del mondo!—
 riflettevo mentre salivo, incazzato con le facce demoniache di due statue leonine che mi osservavano dalla sua cima irraggiungibile, e che erano per me la prova della truffa salmodiata che faceva leva sull'atavica paura dell'ignoto. Ero un anarchico allora, con un'idea della libertà che non è mai cambiata, in tutti questi anni di tentativi di piantarle dentro le unghie. Solo che la Libertà Assoluta io la concepivo come fosse relativa e immediatamente applicabile alla mia vita.
Vivevo lì, un po' lontano da Swayambhu, in un loculo di fango senza mobili, con una stuoia in terra che spruzzavo ogni tanto di DDT cancerogeno, intuendo lo sguardo in aspettativa delle pulci, a miliardi e abituate al veleno, che speravano fossi io a morire per primo, così da potermi divorare senza fretta.
In Italia ero un disegnatore tecnico, al mio esordio, nel campo dei radar e degli apparecchi di telecomunicazione prodotti dalla Face Standard e ITT Americana, poi all'Alfa Romeo di Milano, dove disegnavo modifiche alle auto e codificavo nuovi disegni, trafficando con così tanti numeri che non mi licenziai neppure, fuggii e basta. La mia fu una vera fuga dai numeri, che allora detestavo, perché a me piace ancora disegnare. Io sono un disegnatore nato, e ora anche un apprendista studioso di matematica.
In Nepal, invece, mi guadagnavo da vivere spacciando hashish e marijuana ai turisti, da sotto ai miei lunghi capelli lisci che parevano ricci per i pidocchi che li filavano impazienti e voraci, e anche perché non avevo il coraggio di lavarmi, gettandomi nudo sotto al getto enorme che sboccava da un drago in pietra, in una vasca di cemento e pietre, enorme e gelida, piena di gente in fila sotto zero (era inverno), che rotolava in terra per la violenza del getto sotto al quale passavano correndo; un getto d'acqua che tentava di sciacquarti via anche la vita. Così sollevavo il ghiaccio sulla superficie di una botte che raccoglieva l'acqua piovana, a lato della cuccia dove dormivo, che era culla di larve ibernate di esserini indecifrabili e mi sciacquavo appena, col turbidume marcescente che ondeggiava sotto.
Avevo stretto amicizia con un francese di nome Patrick, più mingherlino di me e più sveglio, col quale conversavo in Inglese perché il Francese l'ho imparato dopo. Trafficavamo insieme e ci stravolgevamo con lo spirito di ragazzini che giocano. Lui era di Parigi, un po' più intellettualoide di me che tutti consideravano un violento che litigava con tutti, a causa di qualche rissa avuta coi Nepalesi, i quali non sono miti e accomodanti come gli Indiani. Io ero di Quarto Oggiaro e lì picchiarsi era normale se non si voleva essere messi brutalmente sotto. Ero pure un karateka allenato, per avere appreso questa arte in anni di lavoro sul tatami, da ragazzino, ma non ne rispettavo rigorosamente i principi di pace e serenità. Per questi fatti eravamo spesso in polemica e lui aveva la deprecabile convinzione che fosse suo dovere abbandonarmi, da solo, in mezzo alle risse. E quando si traffica, non coi numeri, i litigi ci sono. Qualche tempo più tardi queste mie attitudini mi condussero dritto al carcere di Kathmandu.
Comunque quel giorno eravamo tranquilli e seduti in un chai shop a vendere marijuana, quando un ragazzone Americano ci mostrò due strisce di fogli spessi, assorbenti e bianchi, ripiegati a fisarmonica, e ci disse che erano trip troppo forti per lui anche dividendone ognuno in quattro parti. Ce li vendette a un prezzo bassissimo che odorava di truffa, ma se davvero lo fosse stata l'avremmo ritrovato facilmente, perché era straordinariamente alto e con l'aria da borghese molto perbene, una rarità per chi non scalava le montagne. Lo pagammo e ingoiammo l'ultimo della fila, quello piegato d’avanzo e male. Il più grosso di tutti... 

Patrick era più esperto di me nei viaggi psichedelici, aveva fatto molti più trip del mio centinaio ed era psichicamente, all'apparenza, più avvezzo a non farsi trascinare dalle emozioni violente. Io invece avevo un candore che mortificava la stupidità, e tantissima voglia di vivere capendo il mondo, ma nessuna capacità o inclinazione personale poteva attutire l’onda brutale che ci stava investendo.
L'hashish (charas ricavato dallo sfregamento manuale delle infiorescenze della marijuana) a quel tempo era ancora di ottima qualità, in Nepal, ed era stato legale fino all'anno prima. Venduto in appositi baracchini per strada, faceva parte della cultura atavica di quei popoli, e nessuno si scandalizzava vedendo qualcuno in difficoltà, con manifestazioni fuori controllo che non entravano di precisione nel canone della moderazione. Per questo, quando dopo dieci minuti dall'assunzione io e Patrick crollammo con la testa sul tavolo, nessuno si preoccupò troppo. Quel “chai shop” (locale del tè) era un localino poco più grande di un capannone di paglia; era gestito da due fratelli Tibetani che ci conoscevano bene, coi quali discutevamo di tutto e che, per le mie idee di sinistra, già avevano tentato di strozzarmi una volta che dissi essere il Dalai Lama un fascista.
Io e Patrick capimmo, con apprensione, che le ragioni dell'Americano che ci aveva venduto l'LSD erano fin troppo giustificate, e che non ci aveva mentito affatto dicendoci che, anche se presi a un quartino per volta, erano esageratamente forti.

Dopo solo un quarto d'ora le prime vampate d’energia diventarono una vibrazione insostenibile, lo sguardo si fece appannato e si spense nel buio più nero: eravamo diventati ciechi. Disperatamente, uno di fronte all'altro, non potevamo parlarci né toccarci e neppure muovere le teste che si erano appiccicate con le guance al piano del tavolo. Io non potevo vederlo, ma sapevo che lui provava la stessa mia paura di non tornare più a vedere. Avrei voluto farmi coraggio e fargli forza, sapendo che era così anche per lui, ma non potevamo fare altro che lasciarci andare alla nostra incoscienza criminale e all'effetto dell'acido, che eccedeva in tutto, tranne che in comprensione delle nostre debolezze.
Con lo scivolare di un tempo che sembrava immobile, alla prima ondata di terrore si sostituirono sensazioni così estreme che anche la paura della cecità scomparve, e si dileguò in un nero profondamente lontano e solido, nel quale il pensiero osservava stupito una miriade di spirali colorate, stelle rotanti di quel cielo oscuro. 
Spirali che vorticavano e si attorcigliavano salendo, come stessero evaporando. Il mio pensare diventò una voce lontana e quasi non più mia, perché la mia individualità era scomparsa, esplosa nella paura. 
— Chi sono, cosa sono senza il mio io?—
 chiesi angosciato a quel buio, desiderando che dietro di lui qualcuno potesse rispondermi.
— Sto per morire?—
 gridai ancora
— È questo il morire?—
— Chi sei tu che parli col mio pensare?—
 mi chiesi, senza più riconoscermi
La mia preoccupazione non poteva coinvolgere l'idea di un Dio, non ero un bambino che credeva, io credevo solo a quello che mi si presentava davanti e ora, davanti, non avevo un Dio, ma qualche parte di me che non avevo mai conosciuto. 
E volevo conoscerla o, se proprio non fosse stato possibile, almeno capire come fare a parlarci senza dover pagare quel mostruoso prezzo che mi aveva incastrato nella disperazione.

Noi tutti siamo consapevoli della nostra individualità, e sappiamo che lei è unica, anche quando abbiamo un gemello o vediamo che parte di questa individualità pare essere ricalcata su quella di uno dei nostri genitori, o sul miscuglio di alcune caratteristiche di entrambi. Mai ci sfiora il dubbio che, nel nostro essere quella unicità, forse totalizzante, ci possa sfuggire un qualche suo lato, magari proprio il più importante. 
In quel tremendo e lungo attimo io quella parte l'avevo sopra di me, lontana ma evidente. La cosa che mi colpiva maggiormente era che sentivo di essere quella parte prima e più di ogni altra parte di me, e che quello era l'aspetto non responsabile delle mie azioni, ma capace di giudicarle. 
Ero troppo sconvolto per essere ancora spaventato, e stavo come sta un gabbiano con le ali rotte, che galleggia tra i flutti di una tempesta, sballottato tra scogli neri e taglienti.
Quelle spirali, che in quel buio roteavano di colori si acquietarono, lasciando quel vuoto nero per ricomporsi in immagini che si distorcevano davanti agli occhi i quali, a fatica, riassorbivano di nuovo la luce. Per prima cosa cercai Patrick e mi accorsi che lui cercava me.
Senza poter parlare né toccarci stavamo lì, come bambini appena nati e già quasi morti.
Si sedette al nostro tavolo un tipo con gli occhiali quadrati a fondo di bottiglia, antipatico e supponente, e ci disse di non farla tanto lunga che un acido non aveva mai ucciso nessuno, insistendo che ci alzassimo e andassimo a fare un giro per i terrazzamenti di riso asciutti, lì fuori, a riprenderci. Non so come potesse sapere che era un acido che c'impastava a quel tavolo e non, invece, morfina, ma certo non poteva immaginare in che situazione ci trovassimo. Al nostro silenzio ci scosse infastidito e, alla fine e finalmente, se ne andò insultandoci.
Riprendere un poco di padronanza motoria non fu facile e richiese forse un paio d'ore, ma è impossibile determinare con precisione il tempo trascorso in acido, quando l'unico riferimento sei tu, il tuo interno e, insieme a loro, tutto il resto che ondeggia gommoso.
Riusciti finalmente ad alzare il capo dal tavolo guardammo le immagini davanti a noi fluttuare in gelatinose volute opache, che si scomponevano e ricomponevano in bolle, riflettenti le stesse immagini rimpicciolite di quel locale che si deformava in loro, tante volte quante erano loro. I suoni persero la vibrazione, tenebrosa ma comprensibile, avuta per qualche momento, e cominciarono a comportarsi come le bolle, in una folle sintonia armonica. Immagini e suoni si fondevano in bulbi sonori incomprensibili, simili al rincorrersi dell'acqua che sgorga da una fontana. Si componeva, in quello scorrere, musica tonda, come echi di vibrazioni che mutavano in un chiacchiericcio chioccoso, occupando il posto di ogni altra sensazione.
La meraviglia era totale, moltiplicata dal replicarsi indefinito delle immagini che correvano, frammentandosi in fotogrammi, rapidi nel tracciare scie di cloni di sé, in sfere sonore che giravano, spiraleggiando nell'aria densa.
Si sedette vicino a noi un tipo alto e bello, con l'aria d’essere Austriaco, il viso incorniciato da capelli castani a lunghi boccoli fitti e aristocratici il quale, essendosi accorto del nostro essere in una visuale psichedelica, ci sorrise con simpatia comunicandoci che anche lui sapeva. Ci fece un discorso simile a, o forse proprio, una formula matematica che io non capii, ma che pensai dovesse rappresentare il mordersi la coda della ciclicità che non voleva concedere vie d'uscita a se stessa.
Il sole era già alto quando uscimmo dal locale, e la luce abbagliante parve metterci al centro dell'attenzione di un nugolo di bambini che conoscevamo per averli visti scorrazzare spesso lì intorno. Quei bimbi si resero subito conto della nostra particolare vulnerabilità. L'acido amplifica quello che si è già, e quando l'ego è rimpicciolito in quella proporzione due sono i destini che si appresta a subire, specchiando e amplificando quello che succede anche nell'essere della propria normalità: o si chiude nella difensiva sofferenza della solitudine, o si apre alla generosità suicida. Non ci sono vie di mezzo quando il tumulto dell'anima prende il sopravvento. Io mi persi nel secondo fato e iniziai a regalare prima gli spiccioli, e poi le rupie di carta a quei folletti gioiosi, immagine della mia allegria senza scampo. 
Patrick mi guardava sorridendo imbarazzato, lui non sapeva esattamente quanti soldi avessi, ma erano pochi, circa trecento rupie, l'equivalente di ventimila lire di allora, come duecento euro di oggi. Un lampo di preveggenza mi disse che stavo mettendomi nella situazione in cui si trovavano quei bambini, ma non riuscivo a smettere di essere generoso.
      Attratta da quella calca di bambini, si avvicinò Carlotta. 
Era una ragazza Italiana, delle parti di Torino, che avevo conosciuto a Kabul in una pleasure room (si legge fumeria), e mi aveva raccontato la sua tristissima vicenda che l'aveva spinta a fuggire in Oriente: suo marito era finito in galera per spaccio di stupefacenti e lei aveva, nel contempo, perso il suo bambino che le era morto in una di quelle apnee nel sonno che affliggono i neonati. Disperata e in balia di una grave patologia depressiva era partita a casaccio, e raccontava la sua storia a chiunque fosse disponibile a stare un poco con lei ad ascoltare.
Carlotta era una bionda naturale, con lunghi capelli disordinati in riccioli lunghi, stretti da perline conchiglie e ninnoli dei più svariati, che avevano trasformato la sua folta chioma in una giungla tintinnante, la cui gioia contrastava tristemente con stati d'animo che non erano attutiti nemmeno dai sogni.
A Kathmandu la conoscevano tutti perché, nel suo continuo peggiorare, era come impazzita e urlava isterica contro tutto e tutti. Non aveva più i documenti, che le avevano rubato insieme ai pochi soldi che aveva e stava lì, senza visto, a urlare disperazione.
In questo il Nepal è profondamente dissimile dall'Italia, qui la polizia ti porterebbe in qualche Centro d'accoglienza o casa famiglia dove, anche nel calore di persone affabili ti avrebbero comunque, e forse anche giustamente, non posso dire quanto, privato della libertà.
 In Nepal no, lì dove si finisce in galera per poco, anche per un permesso di soggiorno scaduto da due ore, nessuno le faceva nulla. I Nepalesi sanno che dalla pazzia esce un io diverso e indifeso, e la considerano un tocco di Dio che porta con sé una necessità d'aiuto quindi, quando stai male tutti ti aiutano, ti ospitano a casa coi loro bambini anche se urli, ti vestono, ti nutrono, fai la spesa gratis ai mercati, sbraiti davanti ai poliziotti e loro si girano come se la loro attenzione fosse richiamata altrove. Questo è come fosse un prolungamento della loro consapevolezza religiosa, questa è la comprensione della sofferenza altrui. Ho avuto molti esempi di queste storie bellissime d'accoglienza io che, con i Nepalesi, popolo orgoglioso e a volte irascibile col quale ho avuto più di molti problemi, non vado proprio d'accordo.
Stavo dicendo che, mentre i bambini mi circondavano di manine allungate desiderose di spiccioli, arrivò Carlotta. Quando si è in acido la pazzia degli altri non pare così lontana dalla propria, quindi le sorrisi e le chiesi se poteva tenermi i soldi, perché io non potevo più gestirli. Lei, che erano mesi che non ne toccava, acconsentì senza meravigliarsi, li intascò e se ne andò dove non sapeva nemmeno lei.
 Finalmente liberato da quel peso m'incamminai, con Patrick, verso dove non sapevamo nemmeno noi.

Benché la meraviglia o il terrore, nella dimensione psichedelica siano totali, e una nuvola possa sembrare una chiesa, un drago o il castello di Dracula, e un foruncolo il primo segno di un incipiente tumore o una macchiolina colorata e ridicolmente divertente, non è lo spettacolo esteriore coi suoi arabeschi che costituisce la meraviglia maggiore, o l’incubo peggiore, dell’esperienza allucinatoria.
È il suo effetto sulla coscienza che sconcerta, analogo al rincorrersi del circonvoluto arzigogolio dei pensieri. Effetto che ricalca le forme che riempiono la vista, l’udito, l’olfatto, il tatto e il gusto, e che si scambiano continuamente di posto tra loro. L’LSD amplifica e spezzetta, ingigantendoli, o fonde tra loro, rimpicciolendoli, i minuscoli e infimi componenti della realtà che in questa amplificazione, verso l’alto o verso il basso, dentro o fuori, surreali tanto quanto reali, mostrano, in queste interiezioni sì la stessa realtà, ma per vie diverse e in vesti inconsuete, attraverso la correlazione analogica che sussiste tra gli elementi del tutto e la loro somma che dà forma a quel tutto. 
Un tutto il quale è sempre maggiore e più vicino alla perfezione di quanto lo sia la somma dei suoi componenti imperfetti.
Derivando necessariamente ogni cosa dallo stesso Principio unico che la genera, irradiandola e dividendosi in questa cosa, ogni elemento del tutto deve essere simbolo del tutto, al grado che gli appartiene e l’acido, coi suoi effetti, non può ovviamente sfuggire a questa legge universale dalla quale è generato lui stesso. Quindi l’effetto dell’allucinogeno rispecchia, a suo modo ma secondo la Legge unica, la realtà e tutti gli aspetti che la realtà mostra, anche i meno evidenti. Come anche avviene, senza l’aggiunta degli effetti psichici dati dagli allucinogeni, nella realtà che tutti, normalmente, conosciamo. Solo che molti di questi aspetti, in acido sono lì, sfrontatamente davanti, anche se ancora non tutti li possono vedere e decodificare, nemmeno con l’aiuto dell’acido. Ma questi predispone l’individuo (mica tutti), coi suoi effetti sconvolgenti sull’io, alla considerazione degli elementi grandiosi o infimi della realtà, scatenando una sequenza, tanto immaginifica quanto solida di pensieri cosmogonici, di carattere universalizzante, che lasciano senza fiato e a volte anche senza raziocinio. In quei modi dilatati e laterali della coscienza l’osservazione di una famigliola che passeggia può ricondurre il pensiero che stava, per esempio, deviando sul tragico, alla riflessione sulla necessità di associazione nel cosmo e il bisogno dell’altro per la sopravvivenza dell’insieme, che lotta col timore per il diverso da sé; oppure dare la netta sensazione che, in questo insieme, ognuno di noi è una componente incompleta, ma altrettanto indispensabile a quell'insieme.
Dalla grande parte al tutto, dal tutto alla piccola parte si mostra, con evidenza, la relazione analogica che lega le diverse realtà che prendono vita dalla stessa e unica esigenza d’amore, della quale è ricamato l’universo intero ma, soprattutto, che disegna l’intenzione sacra della sua unica e trascendente Causa.

Quando la terra sotto ai piedi si deforma e allunga verso il cielo, prendendone il posto e il cielo, per nulla disturbato, scivola sotto, comunicare diventa arduo, oltre che non necessario.
In acido una semplice occhiata parla per ore e la distanza che separa il vedere dal dire, non è più percorribile. Come viaggiatori nell'ignoto di un sogno faticoso ci piegavamo in avanti, nel vento della difficoltà di essere così lontani dalla tranquillità, al punto di non doverne temere le conseguenze.
Si incrociavano gli sguardi di più persone nello stesso istante, leggendone l'indifferenza o le preoccupazioni, e tra una pietra e l'altra del muretto che segnava il sentiero trascorreva l'apparenza di un'ora in pochi secondi, e quegli stessi secondi ridiventavano, subito dopo, lunghi una giornata.
Io e Patrick ci dividemmo più volte e ci incontrammo ancora, con sguardi stupefatti, dentro quel Cosmo diventato familiarmente diverso, dove tutto era vivo e ti osservava arrancare con le tue certezze ridicole. Arrivò la sera rossastra, ma ancora il trip stava salendo quando, normalmente, sarebbe dovuto scendere.
Era certo colpa di un dosaggio fuori misura il cui effetto avrebbe dovuto, prima o poi, esaurirsi.
L'acido lisergico deve essere diviso in singole dosi, dal laboratorio che lo sintetizza, e questo dosaggio è commisurato al grado di purezza della sua sintesi e purificazione chimica, così che solo gli acidi di qualità elevata che derivano dalla claviceps purpurea possono essere dosati in quantità massiccia, senza avere conseguenze sgradevoli sull'organismo fisico. 
L'insieme delle componenti psichiche, invece… quello è sempre a rischio.
Solo nel culmine di quella notte, stranamente calda e luminosa (era gennaio a mille e ottocento metri di altitudine e c'era la neve) il cuore riprese padronanza di sé, e il viaggio si stabilizzò nei colori e nei suoni più creativi che avessimo mai visto e udito.
In quei momenti realizzai di non avere più una rupia in tasca, di essere a tredicimila chilometri da casa, al freddo, con Patrick (in quasi totale bolletta pure lui) come unico amico, felice di essere ancora un vedente, arruffato e stupido, ma vivo. 
Altri due giorni durò quel trip quando, di solito, dovrebbe scendere dopo un giorno.
Senza dormire, quasi senza mangiare né bere, e con nel cuore e in testa nuove questioni sollevate da quel terribile caos, che andavano ordinate di nuovo, ma non più scopate sotto il tappeto della convenienza bruta, cercavo Carlotta e i miei soldi i quali, ora, per mia necessità erano diventati potenzialmente i suoi.
Fu lei a trovarmi, mi cercava da due giorni e me li rese semplicemente, con un sorriso, preoccupata dall'essersi bevuta un bicchiere di latte pagandolo con loro. Non ricordo nemmeno se la ringraziai, tanto ero emozionato e felice, almeno tanto quanto lo era lei di avermeli resi. Non la rividi mai più, da allora, perché non molto tempo dopo mi ritrovai in una cella di quattro metri quadrati, ma so che della generosità e della bellezza di Carlotta il mondo è pieno, solo che non la si può riconoscere se non nel rischio dell’averne avuto il bisogno.

L'incredibile viaggio nel mio buio non aveva depositato certezze, nella cenere delle sicurezze fasulle che aveva bruciato, ma mi aveva tatuato il sospetto che quella spirale, che permeava quel modo psichedelico di osservare la realtà, fosse più che una modalità ordinante un universo diverso.
Invece che dissuadermi dal riprovarci, l'essere riuscito a sopravvivere a un’esperienza insopportabile mi disponeva a pensare che ce l'avrei fatta ancora, altre volte che si fosse presentata, a sopportare quella fatica terribile pur di avere una qualche possibilità di vedere più chiaro, nel mio buio colorato e misterioso. Continuai per anni a fare trip, spinto da un bisogno di capire che non fu soddisfatto dai trip.
Avevo, destinata a durare poco, ancora tutta la striscia d’assorbenti che avevo comperato dall'Americano e provai, qualche giorno più tardi, ad assumere un quarto di una dose singola allo scopo di capire la proporzione della quantità che avevo preso quella prima volta, con la quantità che si incontra normalmente, quando ci si fa un trip di quelli buoni che ci sono in commercio. Un rosa Pink Floyd, per esempio. Un quartino di quei trip era molto più forte di un Pink Floyd o di un Purple Haze o di una Micropunta nera, o un White California o di un Piramidino in pellicola o un Vulcanino viola ed era paragonabile a un Brown Explosion, che era l'acido più forte che, in Europa, fosse mai stato commercializzato. Quell'ultimo della striscia era il più grosso dei quindici che la componevano, perché risultato di un errore di taglio e piegatura della stessa, e quindi era come se io mi fossi fatto cinque Brown Explosion in una volta sola. Una inimmaginabile follia.
Probabilmente è stato commesso un grave errore di valutazione nella piegatura di quegli assorbenti. L'acido lisergico si misura in microgrammi che sono, ogni microgrammo, la milionesima parte di un grammo, e la dose medio-alta è costituita da circa duecentocinquanta microgrammi. Quindi mille microgrammi sono quattro trip forti, diecimila sono quaranta, centomila sono quattrocento e da un milione, equivalente a un grammo, se ne ricavano quattromila. È quindi facile far casino nel dosaggio, corrispondente al modo di piegatura delle strisce assorbenti.

L'immagine della spirale, con la sensazione della sua possibile importanza, mi accompagnò per molti anni ancora e quando scoprii, finalmente, il suo significato profondo capii, in conseguenza a quello, che quel terribile acido aveva rappresentato il segno di una predestinazione. La predestinazione al dover guardare con lo Spirito che è in me, e a non dover più utilizzare la mente per cercar di penetrare l'esistenza. Esistenza della quale intuisco l’essenza nell'immediatezza della conoscenza dei suoi principi universali. Principi che sono superiori al tempo e che si mostrano solo successivamente alla mente, ma nella loro immediata correlazione con l'Intelletto universale, Centro di ogni realtà. La comunicazione con questo Centro, per prima cosa, concede la conoscenza diretta delle Sue leggi ed è data dalla Sua volontà, che stabilisce l’adeguatezza delle misteriose qualificazioni individuali che aprono alla vista sottile. Per questo conoscere non ho più fatto altre esperienze di ricerca attraverso sostanze. Per questo sono consapevole che il dire della realtà non relativa può solo essere compreso da coloro che questa realtà già sperimentano consapevolmente. Io so per tutto questo, con certezza assoluta, che il vero comprendere non può essere insegnato né comunicato perché ognuno, per volontà del Cielo, deve aver salvaguardata la propria libertà di capire da sé chi è lui stesso e cos'è la vita.

mercoledì 14 maggio 2014

Orizzonti

Nessun orizzonte può dividere la mente, perché esso è simbolo dell'ampiezza della visuale che la mente è in grado di abbracciare. Poiché ogni orizzonte intellettuale non è mai raggiungibile, allo stesso modo dell'orizzonte fisico mostrato da un panorama, esso costituisce un limite solo quando l'intelligenza, scoprendo di avere sotto ai suoi piedi l'orizzonte di qualcun altro, lo ridicolizza senza avere ragioni per farlo diverse da quelle date dalla propria boria intellettuale.

martedì 13 maggio 2014

Sulla guerra

La guerra, qualsiasi sia il piano sul quale è attuata, personale e interiore oppure collettivo, ha per scopo la pace, perché la pace, senza la minaccia della guerra, avrebbe un altro nome. Come tutto anche la guerra ha due volti, uno di conquista e l'altro di liberazione. A ognuno la libertà di scegliere da che parte stare, ma lo stare contro qualsiasi guerra è solo un modo per scegliere di non scegliere, e di subire soltanto.

venerdì 9 maggio 2014

Caso e accidente


È chiamato "caso" l'effetto rispetto al quale sono sconosciute le cause che l'hanno prodotto. L'accidente non è il caso, ma è il risultato di un cozzare tra loro di eventi, causati ognuno dalle proprie particolari ragioni d'essere, le quali apparentemente non avevano l'obbligo di dover essere coincidenti.

La sfera della realtà

In generale si può dire che la giovane età abbia il vantaggio, rispetto a quella avanzata, di avere un minor grado di responsabilità, ma col trascorrere del tempo essa sarà gravata, o sollevata, dal maturare delle conseguenze che il suo aver agito avrà determinato. È logico siano le conseguenze negative e rendere difficile il vivere di ognuno, a causa dei debiti contratti dall'aver vissuto in disarmonia con le leggi che modulano lo svolgersi della realtà, ma a ognuno andranno anche i vantaggi dei crediti conseguenti agli errori altrui fatti nei propri confronti. Ognuno paga e riscuote per le scelte fatte, o che ha spinto gli altri a dover fare, e non c'è solo l'appesantimento del vivere dato dallo scorrere del tempo ma, insieme a quello, c'è anche la soddisfazione di vedere che le ingiustizie commesse da altri sono state, come è accaduto per le proprie, scoperte. Più tardi la verità viene a galla e maggiore sarà la pena provata da chi non ha avuto il coraggio di confessarla quando avrebbe potuto. Le verità che non verranno alla superficie saranno comunque sempre esposte alla luce della nostra coscienza, e la sofferenza per la loro presenza persisterà senza poter essere attenuata.

Non ci si può sottrarre alla verità, perché più la si sarà seppellita in profondità, e maggiori saranno le possibilità che essa riemerga dall'altro lato della sfera della realtà.

Logica rigorosa sull'impossibilità che una menzogna possa essere perfetta

Ogni bugia si deve reggere su altre bugie e, alla fine, si arriva al dover considerare la bugia prima la quale, essendo una menzogna, deve necessariamente essere preceduta dalla Verità che si vorrebbe cancellare.

Buone ragioni meno buone di altre...


Le buone ragioni per uccidersi è vero che non mancano mai, e sono le stesse che dobbiamo ringraziare quando grazie a esse siamo riusciti a migliorare il nostro essere al mondo per una ragione più grande dello stesso mondo.

venerdì 2 maggio 2014

Analogie inverse


Gli uomini inventano le fiabe per bambini che hanno paura di lasciarsi andare al Buio, lo stesso Buio che consente al brillio delle stelle di mostrare le infinite possibilità del Mistero a uomini che temono di lasciarsi condurre dalla luce.