martedì 21 febbraio 2012

Detesto troppa gente che scrive


Mi definirei volentieri uno scrittore, se gli scrittori non mi stessero sulle palle. Sono quasi tutti dei palloni gonfiati convinti di avere un insegnamento importante da offrire. Io mi distinguo da costoro per il semplice fatto, anzi, per i semplici fatti, che più che insegnare tendo a demolire gli insegnamenti di altri. Non che ci sia troppa differenza tra l'insegnare e il distruggere; in effetti la diversità non sta nei modi, ma nelle ragioni che inducono a farlo. Intanto è utile ricordare che il mio ragionare è mio solo per la cattiva qualità del mio esporre verità che non sono il frutto di concezioni mie né, tantomeno, di altri individui come io sono. Io mi limito solo a sistemare le cose in modo che possano essere comprese dai pochi in grado di comprenderle. Non sono interessato a farmi capire da tutti, perché questo comporterebbe la riduzione del vero che espongo al livello su cui si trova il più imbecille tra questi tutti. Mai la verità deve essere ridotta perché diventi commestibile per chi ha solo denti canini. La verità è roba dura da mandar giù, soprattutto quando si capisce che non bisogna spezzettarla per renderla digeribile. Dunque la verità che espongo non mi appartiene, e non è conseguenza di idee, ma di un ragionare coscienzioso che deve il suo rigore logico alla verità dei princìpi che segue. La verità non è mai una conseguenza del semplice o complesso ragionamento logico, perché la logica è figlia della verità, non madre. Il mio caso, come è stato quello di altri metafisici che mi hanno preceduto, è quello di una persona qualunque, intelligente quanto basta per non essere del tutto stupida, che ritiene sia a volte conveniente ridiscutere false verità, accettate supinamente come vere soltanto perché, non conoscendo la fonte dalla quale sgorgano, ci s'immagina non sia importante conoscerla. C'è un'unica fonte di verità, ed è quella dei princìpi universali che ordinano l'esistenza di tutte le loro conseguenze. Questa conoscenza si dice metafisica utilizzando, per darsi un nome che significa poco, uno dei termini più falsificati e abusati al mondo. Essa è la conoscenza, immediata e diretta, dei princìpi normativi dell'esistenza. Nulla di mio né, tantomeno, di altri. Da questa consapevolezza nascono le cose che scrivo, e dalla stessa consapevolezza la coscienza che è poco importante scriverle, perché la Verità non ha bisogno di me come io ho bisogno di Lei.

domenica 19 febbraio 2012

Il Non essere e l'essere


Capire la realtà è difficile ed è possibile farlo solo quando le si è al di sopra. Al di sopra non sarebbe proprio l'espressione giusta, perché è riferita alla dimensione spaziale, e l'estensione che implica lo spazio costituisce solo un ristretto piano della realtà. Qui uso questo modo di dire in un senso analogico con le stesse restrizioni che avrebbe se avessi detto "al di fuori". La realtà che tutti vediamo perché viviamo è manifestata, e noi con lei. Eppure è evidente che il manifestato non è il tutto, perché ciò che deve ancora manifestarsi, così come quello che non è suscettibile di farlo, non appartengono alla manifestazione. È manifesto tutto ciò che ha forma; forma che caratterizza un limite. Il non manifesto, l'informale come è un'idea prima di essere espressa, appartiene alla Realtà che non abbiamo altro modo di chiamare diverso da "Non essere". Il "Non essere" deve necessariamente contenere in potenza l'Essere e, dunque ha, nei confronti dell'essere, un rapporto di superiorità sia logica che ontologica. Anche temporale perché il "Non essere" non è sottomesso alla durata temporale. Dal punto di vista della manifestazione si deve dire che l'essere è contenuto dal Non essere, mentre da quello della Non manifestazione è il Non essere che sta al centro dell'essere. Questo stare al centro significa che ogni essere ha in sé l'Infinito senza limiti del Quale rappresenta una delle Sue infinite possibilità di manifestazione. Questa centralità, identica per tutti gli esseri, è quella che consente all'essere di poter concepire l'Eterno, inconoscibile perché infinito. Tutti noi siamo espressione della molteplicità attraverso la quale il Mistero rivela di "Non esserci" pur essendoci accanto.