domenica 24 aprile 2011

La legge del Sempre


Il tempo era ancora una possibilità di essere, e ancora l'alba non era inseguita dal tramonto. Il tutto se ne stava a dormire sotto la coltre dell'eternità, senza russare.
Poi si sa come vanno queste cose, quando si mette di mezzo la volontà di far del bene anche se, per farlo, occorre avere un male da educare.
Mica è una cosa semplice iniziare la creazione partendo dal male, come non lo è il dare una forma al bene, così fu deciso di spaccare in due il poco a disposizione e di lasciar scegliere cosa essere in libertà. Non ci fu un vero allontanamento delle cose dalla loro fonte, eppure sembrò che ci fosse, perché le cose non dovevano sapere di essere sotto il giudizio della legge del Sempre. Questa legge emanava dalla Libertà totale che aveva deciso di essere perché poteva essere. Era una legge alla quale tutto fu concesso, tranne il potersi contraddire, così fu data all'esistente la libertà, ma insieme a quella libertà fu data anche la prigionia, perché si potesse scegliere in libertà cosa essere e dove esserlo. La gioia di dare e il dolore di togliere non poterono separarsi fino a quando non fossero le cose stesse a volerlo, e per volerlo dovevano lottare, perché è necessaria la lotta per strappare di dosso al male gli abiti che il male ha rubato al bene.
Ogni cosa del mondo ha in sé un giardino segreto nel quale si depositano i desideri e le intenzioni. Quando le intenzioni superano i desideri quel giardino è chiamato coscienza ed è il modo in cui ognuno gioca dentro di sé, ma anche l'intero universo ha il suo giardino e in quello non gioca, ma attende. Attende che tutti i piccoli e privati giardini del mondo si aprano al mondo per divenire il giardino più grande che c'è.

martedì 19 aprile 2011

Il Prescelto


Mi son sempre piaciute le storie dove si raccontava di un prescelto, non importava fosse donna o uomo, che avrebbe dovuto salvare il pianeta. Invidiavo i prescelti con tutto me stesso, e da ragazzino mi auguravo che scoppiasse una fabbrica di sostanze chimiche mentre vi passeggiavo vicino, e immaginavo che le esalazioni mi trasformassero in un essere dai poteri eccezionali, da prescelto appunto.
Non m'intimoriva neppure la consapevolezza che i super poteri fossero accompagnati da una super responsabilità. Mi pareva anche logico che un eroe dovesse, di tanto in tanto, salvare una damigella, anzi, era proprio da quella responsabilità che un mondo d'avventura avrebbe spalancato le sue porte al mio volare altero sopra un mondo da proteggere.
Non essendo state soddisfatte le mie aspettative, nonostante io sia vissuto nelle vicinanze di fabbriche tossiche che esalavano veleni, nell'evidente tentativo di trasformarmi in una potenza della natura, ho affidato la mia trasformazione alle droghe, ottenendo alcuni risultati, anche se laterali a quelli sperati: volavo da bestia, avevo una vista non precisamente a raggi X, ma colorata di brutto, non disponevo del super soffio, ma avevo un alito da fegato in trance che teneva lontani gli insetti, anche se i pidocchi pareva ne fossero immuni.
La mia vita ormai aveva tutta l'aria di essersi piazzata onorevolmente in uno degli ultimi posti della gerarchia umana, la stessa che avevo tanto detestato perché esprimeva giudizi taglienti sugli eroi mancati, quand'ecco che, senza che lo avessi chiesto e neppure desiderato… track!
La fregatura mi piombò addosso senza nessun preavviso: io ero davvero un prescelto.
Di certo non del tipo che mena botte a tutti e cuoce le uova con la super vista, ma di un altro genere che ancora non mi era facile mettere a fuoco. Io vedevo cose che altri nemmeno potevano immaginare possibili. Niente a che vedere con le pur cospicue realtà di diverso ordine, alle quali ero avvezzo nei miei frequenti trip con LSD. 
Potevo osservare la realtà attraverso la consapevolezza dei suoi princìpi. Questo mi consentiva di accostare tra loro elementi impalpabili, che non sono osservabili nella coscienza ordinaria, per comporre un quadro d'insieme che rivelava una Verità usualmente celata. 
La cosa che mi sconcertò fu il dover rinunciare alle opinioni, alle mie convinzioni e al mio sapere. Questo è stato il primo prezzo da pagare per conoscere la verità. 
Il secondo fu il dover scegliere tra l'essere la persona che sono sempre stata o un nuovo individuo. 
Il terzo implicava il non poter comunicare le verità alla portata della mia diversa consapevolezza perché non sarei stato capito. 
l quarto era il dover accettare ogni accadimento come fosse il risultato di cause che avevano ragioni d'essere anche quando quelle ragioni non potevo ancora conoscerle. 
Il quinto, e mi fermerò qui per non suscitare troppa pietà, fu il dovermi vedere nelle mie reali intenzioni, conoscermi quindi, e riparare a tutte le mie mancanze. 

Tutto questo senza poter spiccare un volo che superasse i due metri per il lungo e altri due per il largo...

giovedì 7 aprile 2011

Ora che conosco il suo nome

Una trappola per topi. È stata una schifosa trappola questa vita, e finirà come ho deciso che debba finire.

Sarà l'unica cosa che mi riuscirà di decidere, nel mio sbattere contro la volontà del Cielo.
Troppe le cose che non quadravano, e io le chiamavo coincidenze, quando erano solo le tracce di una verità difficile da nascondere. 
Credevo al Caso che da sotto una corona dava ordini incomprensibili alle sue vittime, e solo ora oso chiamarlo con il suo nome.
Credevo che l'amore fosse una prigione per deboli, e il sacrificarsi un bestemmiare la vita.
La decisione di morte segue un futuro che si è estinto in un passato da dimenticare.
Sono nato per una mancanza e morirò per un'assenza. 
La perfezione dell'origine è stata macchiata dal voler mettersi alla prova, e quella macchia non sarà cancellata dal morire, lo so, è la trappola che funziona così.
Serro per un'ultima volta le mascelle e rilasso i muscoli abituati alla corsa frenetica, scendo dalla ruota della mia esistenza, nel batuffolo della lettiera stesa dal destino.
Adesso è arrivato il mio momento, l'unico nel quale sarò padrone di me.
Gli artigli della mano del destino che ho chiamato Caso pare abbiano capito la propria debolezza e mi tentano, ancora una volta, con del latte fresco nel beverino. 
Io non la guardo neppure e resto fermo in un corpo che comincia a puzzare appena cessa di correre.
Il Caso pare intuire il dramma che sta compiendosi e apre la porta della mia vita ostruendola, e mi tocca col dito della maledizione.
Non avevo mai morso così forte, ma ora posso farlo, perché conosco il suo nome.


martedì 5 aprile 2011

Logica vuole...


Chi scrive ha cose da dire e, di solito, dire significa comunicare, attraverso un modo sicuro, ipotesi estremamente insicure. Cosa ci sia da comunicare di così importante da sedersi e perdere tutto quel tempo, escogitando modi interessanti di esposizione, non è facile dirlo, certo è che sono tante le persone che perdono quel tempo. Si dice anche che scrivere aiuti a non perdere la calma e finire con lo sbattere la testa contro uno o più spigoli. 
In effetti se si sta seduti è più difficile attentare a quella cosa dura che contiene la massa molliccia, piena di arzigogoli e circonvoluzioni, che partecipa alla stesura delle storie da raccontare. 
Chi scrive sa che non è facile convincere le persone. 
Si sa che si fa fatica a convincerle anche dando soldi in cambio mentre le si fissa con la sincerità negli occhi, ci si può immaginare cosa si deve escogitare per aiutarli a modificare la loro vita come piace a noi che scriviamo. 
Eppure questa scrittura ha, e l'ha fatto un sacco di volte, inclinato le scelte di vita di intere popolazioni. 
I trattati di resa, nelle guerre, sono scritti per evitare che ci si rimangino in fretta le promesse di pace, per esempio. 
Eccezionale l'invenzione della croce tracciata per firmare, ed è pure una dimostrazione che la scrittura conosce il modo di deformare il senso di certi simboli allo scopo di invertirlo. 
È in questo modo che un simbolo di amore è stato trasformato in uno che esprime fiducia. 
Chi mette la croce non sa leggere e, dunque, si deve fidare. 
I trattati che hanno tracciato i confini delle riserve indiane, per dirne una, sono pieni di croci.
Io scrivo abbastanza spesso, e non per allontanare eventi infausti e pericolosi, nemmeno loro si fanno convincere facile, ma lo faccio per rendere noto che l'avere convinzioni a questo mondo avrà conseguenze nefaste. 
Così scrivo nel tentativo di mostrare quanto le convinzioni degli altri siano lontane dalla verità; naturalmente la verità è quella che conosco io. 
Qui la faccenda assume toni parossistici perché se avessi scritto esagerati nessuno l'avrebbe notato. 
Mi si chiederà cosa sia, per me, la verità, e io non ho altro modo per rispondere che scrivere ancora: la verità è la realtà, tale e quale a ciò che essa è. Mi si dovrà riconoscere che almeno so scrivere, mica è facile definire le cose. 
Per fortuna mi trovo preparato a farlo, dato che conosco in anticipo le domande che mi sono poste. 
La manovra principale che attuo, quando scrivo, è riferita all'utilizzo del ragionamento logico e consequenziale. 
Sta a dire che dopo l'uno c'è il due e poi il tre. 
Se si torna indietro sarà il contrario. 
Questa è logica purissima, eppure non è quasi utilizzata da nessuno. Di norma chi scrive formula un presupposto costruito attorno a un pensiero che gli è passato per la mente senza che sia possibile sapere da dove è venuto, e da lì procede secondo schemi appresi alla scuola dell'infanzia e affinati all'università.
Per tutti la logica assicurerebbe la verità attraverso il suo scolpire ghirigori sotto gli altari dell'intelligenza razionale, che è caratteristica tipica della specie umana. 
Sì, perché le bestie non si fanno fregare facile come noi, e vanno subito al sodo. Comunicano tra loro a occhiate, rizzate di pelo, ringhi sbuffi e smorfie, e ridono molto raramente, facendo in modo che gli umani non se ne accorgano.
Per gli animali la logica è quella dell'attacco e della fuga, e in questo assomigliano agli intellettuali quando questi ultimi stanno in gruppi di più di una persona alla volta.
I segreti del ragionamento logico sono insegnati in modi talmente logici da risultare estremamente complessi: se A è uguale a B e B è diverso da C... risulterà essere diverso da C anche A.
La bestia non sta lì a cincischiare, arraffa A, B e C e fugge svelta. Non sta a considerare la principale legge della logica, "il principio di non contraddizione": se A è uguale a B e B è diverso da C… se si afferma che A è uguale a C si cade in una contraddizione irrisolvibile, dunque una "non verità" che costituisce una "vera" impossibilità. 
Quando una realtà è impossibile non è vera, a differenza di una falsità che è una vera falsità.
Impossibile non significa falso, se lo significasse saremmo tutti in un terribile stato, perché ci saremmo senza meritarcelo.
Logica vuole, invece, che ce lo meritiamo.

sabato 2 aprile 2011

Il terzo principio della dinamica



Su quel pianeta, come nell'intero universo, tutto era condannato a muoversi, e una delle leggi che regolava questo muoversi era quella che imponeva a ogni azione di avere una reazione che le fosse analoga e contraria. Gli abitanti del pianeta utilizzavano quella legge della dinamica per muovere veicoli e per sopravvivere al movimento, attraverso lo sfruttamento dei princìpi del movimento. Motori che producevano energia spingevano, dalla parte opposta a quella dove l'energia usciva con forza, gli stessi motori ai quali stavano attaccate le strutture che contenevano, allo scopo di favorirne il movimento, esseri che mai avrebbero immaginato che la legge della dinamica potesse avere delle applicazioni diverse da quelle che utilizzavano. Eppure le scritture sacre di quel pianeta avevano da tempo avvisato che a ogni azione sarebbe corrisposta una reazione uguale e contraria,  e che quella reazione ci sarebbe stata anche oltre quello che era il dominio della scienza. Chiamavano, quella reazione, paradiso o inferno, secondo la qualità degli equilibri spezzati che sarebbero stati ricomposti dalla reazione contraria scatenata. La scienza non aveva smesso, per questa che le appariva come fosse soltanto una persecuzione morale, di applicare al movimento lo sfruttamento legale della ripercussione, così i veicoli erano progettati senza la preoccupazione del risparmio energetico. Alla scienza non pareva possibile che quello spreco di energia costituisse un'azione che avrebbe provocato reazioni inverse. 
La questione da dover districare riguardava, semmai, quanto la simultaneità tra azione e reazione dovesse essere necessaria nel legame che si stabiliva tra una causa e il suo effetto. Ovviamente avrebbe dovuto esserci simultaneità a che da una causa potesse sortire un effetto perché, altrimenti, quando questo effetto si fosse verificato con un certo ritardo, anche se infinitesimale, si sarebbe attuata una contraddizione irrisolvibile, perché a un evento passato, e dunque inesistente, si sarebbe associato un effetto futuro, ancora inesistente. Per colmare questa assurdità logica si sarebbe dovuti ricorrere a una realtà extra temporale che avrebbe dovuto contenere l'elemento di congiunzione tra la causa e i suoi effetti successivi. Poiché una perfetta simultaneità tra causa ed effetti non è mai assicurata, si dovette ammettere che il rapporto consequenziale che rendeva possibile il mantenimento del legame tra la causa e i suoi effetti dovesse trovarsi al di fuori dello scorrere temporale, in una forma di embrione di memoria pronto a sfogarsi quando gli eventi, ormai maturi, l'avessero consentito.
Era a tutti evidente che l'intreccio di eventi non avrebbe potuto concedere la simultaneità di una realizzazione di effetti che fossero immediatamente successivi a quegli eventi, così furono in molti a chiedersi in cosa potesse consistere quella, tanto supposta quanto necessaria, dimensione sovra-temporale, culla degli eventi in aspettativa di realizzazione.
Alcuni arrivarono persino a ipotizzare che la cosa potesse addirittura riguardare i più reconditi pensieri e desideri, oltre che le azioni compiute, e l'idea che un paradiso e un inferno potessero essere non solo i simboli morali di una punizione cosmica, ma anche realtà concrete in attesa di compiersi si diffuse, insieme alla paura, nelle coscienze ormai abituate a materializzare anche gli aspetti più delicati e sottili dell'esistenza.

Intanto, come un'onda brutale partita molto tempo addietro, alla quale gli esseri di quel pianeta avevano dato il nome di "peccato originale", stava tornando indietro quella temuta forza reattiva, spinta dalla sua potenza equilibratrice moltiplicata dall'attesa, e la moltitudine di intenzioni riparatrici che la costituiva macinava Eoni alla velocità della luce, nel suo dirigersi verso il suo pianeta d'origine, e lo stava facendo senza intenzioni moralizzatrici, e senza alcun desiderio di distruzione, esclusivamente per la legge che stava ristabilendo la giustizia di un equilibrio cosmico perduto, necessario alla sopravvivenza del Tutto.