La felicità non può essere nemmeno una decisione, perché essa è uno stato d'animo, e nessuno stato dell'animo può essere deciso a priori. Ma da quali ragioni la felicità prende consistenza e forma? Quale è la condizione indispensabile perché essa sia la sua conseguenza emotiva? Che cosa può far sentire un essere felice? Forse l'aver deciso di essere felice? Potrebbe essere, la felicità, un oggetto di conquista appeso a un ben oliato albero della cuccagna? O forse è il frutto della ricchezza conseguita a testa bassa, perché scelta come fine della propria esistenza? Potrebbe essere la logica conseguenza di aver deciso di avere la tavernetta piena di puttanelle pronte a tutto per farti felice? C'è solo una condizione indispensabile per essere davvero felici, e non è certo quella che causa l'infelicità altrui. Quando si decidesse di essere felici occorrerebbe farlo nel rispetto delle felicità altrui, perché la felicità non può limitarsi a essere individuale. Che felicità sarebbe quella di chi gioisce in mezzo alle sofferenze delle altre persone? Si potrebbe esserlo in seguito alla decisione di fregarsene, e di pensare esclusivamente a sé? Per essere felicità non deve avere ombre che ne oscurino le intenzioni, né deve procurarne ad altri. Quale è quella realtà di un essere che dà la felicità interiore capace di esprimersi non nel salterellare gioiosi, come si fosse dei pazzi insensibili al dolore altrui? Quella realtà è la perfetta consapevolezza di cosa sia la verità che motiva l'esistenza, e delle sue ragioni che sono motivo di tanta sofferenza inflitta alle persone che vedono, nella possibilità di raggiungere la libertà, l'unico obiettivo per il quale abbia senso il dover soffrire. Ma cosa rende liberi dalle costrizioni che la vita impone? Rende liberi la decisione di dedicare la propria vita alla consapevolezza di sé e dei bisogni altrui, perché non si può essere felici in mezzo alla sofferenza… se non curando quella sofferenza. Solo in questo si può decidere di essere felici, ma deciderlo non basta, perché la consapevolezza non si può decidere di averla, né è possibile acquistarla.
Ma cosa può dare consapevolezza?
Essa è la conseguenza della fatica di vivere le verità che si conoscono in modo certo, ma quale certezza può esserci nel perseguire i propri interessi, diversa dalla certezza di fare solo il proprio interesse?
Questa certezza è pregiata e aderente alle verità superiori solo quando il proprio interesse è quello di agire per l'interesse altrui. Questa è la chiave d'oro che apre le serrature di tutte le porte chiuse che ostacolano la realizzazione della libertà.
È attraverso il sacrificio di sé, operato dall'unità dell'Assoluto che si è capovolto nella riflessione di Sé, irradiandosi nella molteplicità, che l'universo ha preso forma, ed è nella replica di quello stesso sacrificio che sta l'unica possibilità di dare felicità a tutto ciò che appartiene al regno dell'ombra e del dolore causati dall'essere.
Si è perché il buio si è sacrificato lasciandosi illuminare dalla luce che ha, nella sua possibilità di essere, anche la conseguenza di dar forma alle ombre dove è nascosto il male dato dalla non comprensione della Verità, che è rifiuto della luce.
È questo male che occorre vincere per essere felici, e lo si può vincere solo attraverso la conoscenza perfetta della Verità.
L'intelligenza che ambisce al conoscere ha la stessa natura della luce, e la stessa generosità che ha il buio primigenio che si è sacrificato per favorire l'ordine e l'armonia dati dalla consapevolezza delle ragioni dell'esistenza e di Ciò che all'esistenza è superiore.
È nell'ordine e nell'armonia di quest'ordine che non esclude nessuno, che attende la vera felicità.
La felicità è la conseguenza di una decisione soltanto quando questa decisione scaturisce dal coraggio di un volere sacrificare la propria felicità per il bene di tutti.
Ecco quale è l'unica decisione che conduce a essere felici.
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