Di sicuro al piccolo uovo che si stava schiudendo al riparo di un filo d'erba la questione su chi sia nato prima tra l'uovo e la gallina sarebbe parsa una perdita di tempo, perché la quaglia che stava per guardare il cielo non aveva l'aria di essere una gallina.
Strana forma ha l'uovo; sono evidenti i suoi tentativi di rappresentare l'equilibrio nella sua forma più fragile, e se non fosse per le uova di struzzo ci sarebbe anche riuscito.
Strano canestro pieno di uova è l'universo, forme imperfette che si chiedono cosa la perfezione debba essere.
Comunque, alla quaglia, porsi troppe domande pareva un atteggiamento sconveniente nei confronti di un mistero il quale, era sicuro, stava volentieri nascosto.
Pareva quasi che il suo stare celato agli occhi del mondo favorisse il moltiplicarsi dei guai.
Intanto l'uccellino forzava, all'interno di quel guscio misterioso, nel tentativo di romperlo.
Pareva quasi che la vita servisse a rompere il guscio che impediva la vista del cielo.
Un Cielo dalla volontà immobile, ma capace di far girare le uova, e non solo quelle.
Un Cielo che metteva, tra Sé e le cose che cercavano di riempirlo, distanze incolmabili.
Alla fine l'uovo si ruppe, sotto i colpi datigli dalla vita, e due occhi troppo grandi misero a fuoco la propria incapacità a capire le ragioni che rompevano altre uova.
Poco lontano un altro minuscolo essere strisciava nel prato la sua fatica di vivere, senza domandarsi alcunché, inebriato dal profumo di cibo che lo circondava.
La quaglia vide quel muoversi, sentì il suo odore e, alla fine, anche il suo sapore.
Strana cosa la vita che, per continuare a vivere, doveva morire.
Strani esseri gli esseri che, per essere felici, dovevano togliere felicità ad altri esseri.
Pare quasi che la ragione d'essere della vita non viva all'interno del vivere, e che la ragione d'essere della morte non muoia dentro la morte.
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