Era sempre stato un materialista incallito, ma non era uno stupido; lui non credeva alle balle, vendute come fossero verità, dai preti che ingrassavano masticandole, e lui quei preti li odiava come si riesce a odiare una spina sdraiata accanto al cuore del mondo. Il suo essere materialista era la conseguenza data dal non voler muovere un solo passo verso quella che, per lui era fin troppo evidente, costituiva una pura menzogna generata dall'ipocrisia di persone demoniache, che fingevano di essere animate da una sacra fede nella trascendenza.
Per l'intelligenza la fede non è un rifugio solo quando è la conseguenza logica di tutto quello che si riesce a capire senza avere l'ombra del dubbio, altrimenti preferisce aspettare piuttosto che intascarsi conclusioni affrettate.
La sua intelligenza aspettava, e mentre aspettava odiava tutti quelli che incolpavano gli altri di non essere dei creduloni.
Lo sguardo di chi non conosce la verità incrocia gli altri sguardi con la diffidenza di chi teme l'imbroglio e sa che, per questo fuggire, gli sguardi di tutti sono rivolti a terra per non inciampare. I preti lo sanno e aggirano l'ostacolo raccontando di realtà che non possono essere conosciute se non attraverso la capacità della propria intelligenza.
La stessa che quando è scarsa induce i preti a tendere le ragnatele fissando l'ordito dei fili al desiderio che hanno le persone di salvarsi dalle conseguenze del male che hanno fatto.
Aspettava, e aspettando si solidificavano in lui convinzioni sulla cui veridicità non aveva mai veramente indagato, e si ritrovava nella medesima condizione di chi attribuisce valore a qualcosa che non conosce solo perché le altre possibilità di conoscere erano state rubate e sporcate dagli imbroglioni.
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