Ho vissuto un po' alla cazzo, sono il primo a dirlo, inseguendo ondate di piacere tiepido ottenute senza tuffarmi all'interno di problemi che non mi hanno mai fatto sentire la loro mancanza. Alla fine di ogni giornata mi dicevo:— Anche oggi è andata!— nella speranza che sarebbe stato così anche per il domani. In quanti potrebbero rinfacciarmi il non essermi posto la questione dell'equilibrio cosmico sul quale la realtà è fondata? È, questo, un equilibrio fetente, perché tradisce in silenzio tutti quelli che contano di sfangarsela. L'asse della bilancia esistenziale sulla quale ognuno è seduto è decisamente più lungo di quello sul quale ci si sedeva da bambini, ai giardinetti dell'asilo. Tanto lungo che ci si può correre sopra senza che questo dia una sua risposta immediata al disequilibrio provocato, risposta che avrebbe il pregio di avvisarci che a ogni errore commesso corrisponderà una conseguenza che quell'errore tenderà a ricomporre attraverso una pena da scontare. È vero che la possibilità di essere graziati dalla misericordia della provvidenza è sempre lì che ci guarda, ma per agire ha bisogno che si arresti la propria corsa verso il disequilibrio, e si torni sui propri passi per rimediare, quando questo è possibile, agli errori commessi. Quando il tornare indietro ad aggiustare le cose rotte non è possibile... allora bisognerà aggiustare le rotture fatte da altri, anche quelle che non ci riguardano da vicino.
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