lunedì 20 settembre 2010

Nati già morti






Ogni caverna, come ogni cuore,
è immagine del Cielo vuoto
pieno di forme che mutano in forme
mostrando l’infinità di un’Intelligenza
che è perfezione assoluta
(Da un’incisione rupestre lasciata in una caverna africana)

Nati già morti

Oggi li avrebbe rivisti, tutti insieme, come accadeva ogni tre anni, da quattro secoli.
Da quel tempo l'adunanza era diventata norma, per il popolo che odiava la luce.
A nessuno di loro pareva interessare l'origine del non tempo che l'uomo chiama immortalità, tranne che a lui. L'unico, tra tutti, a non provare alcuna pietà per se stesso.
I millenni sono niente per chi non è sottomesso alla durata, per chi è consapevole di vivere un'esclusione necessaria, in un mondo che, altrimenti, ti prosciuga rubandoti il soffio.
Azek vibrava d'immobilità quando considerava l'impossibilità di essere libero. Un'impossibilità che costituiva ragione per essere disperati.
Fino a dove poteva spingersi il buio per sfuggire alla luce lui lo sapeva: nelle profondità del dolore.

L'Africa nera che li aveva partoriti ora li chiamava a sé, in un vorticare di foglie cadute da alberi sempreverdi. Arrivò al villaggio per ultimo, come sempre, anticipando di poco il primo raggio di odio che l'alba concedeva al cielo.
Scivolando rapido, come un felino ferito, s'introdusse nel sottosuolo da un piccolo buco per topi. In lui convivevano tutte le nature bestiali che si odiavano tra loro.

 Ares era già lì da giorni, lei non sapeva aspettare. Cosa terribile per una vampira.

Non si salutarono guardandosi, e due ringhi impercettibili impedirono ai loro diversi territori di accostarsi.
Il popolo oscuro non si accoppiava, perché il sangue non ha un genere preferito, eppure Azek e Ares si amavano nel silenzio.
Nessuno lo sapeva, nemmeno loro due e, forse, a nessuno sarebbe importato. Il male insegue il bene per convincerlo delle ragioni della sua natura, e mai si farebbe cercare da lui.

La caverna era illuminata dai lampi della disperazione di gente non umana, non animale, capace di diverse forme, ma nessuna adatta a loro.
Tra gli scintillii che si scrutavano ansiosi, nell'inutilità del non potersi aiutare, si levò una voce cupa

—Che Azek dica cosa è cambiato nel nostro esserci, che Azek dia la morte al primo dei nostri bisogni!—
Un sommesso brusio di approvazione rantolò in quelle gole arse da una sete che oggi non sarebbe stata soddisfatta

—Azek sa che il terrore più grande il buio lo prova per il buio, Azek ha visto che due sono le oscurità dell'universo—
La tensione di un dubbio a lungo represso, nell'esiguo spirito che riempiva la grotta, si fece densa come sangue rappreso

—Azek ha sollevato il capo reclinato della sua volontà, e ha guardato attraverso l'occhio che la nostra specie ha perduto negli eoni di un tempo che fu
—Azek è ora nella durata che finge di scorrere, e vede l'illusione che regge il mondo—

Una protesta rabbiosa, come volontà di ferire, fu superata dal bisogno di libertà di esseri stanchi di essere
—Che parli, allora!—

Le sue non erano parole, ma luce sconosciuta, nera come la notte quando capisce di dover arrendersi al giorno

—Azek non può dire come sia accaduto, ma crede che troppa sete estingua la sete
—Il Maligno era distratto dalla propria concupiscenza, quando Azek guardò negli occhi di se stesso—

—Non può essere!— gridò Ares, improvvisamente vittima della paura di perderlo
—Il Maligno è dentro di noi, non può guardare altri che noi!
—Tu non puoi esserti liberato di Lui, perché siete una sola realtà!—

Azek, per la prima volta, si accorse di essere importante per qualcuno. Doveva aspettarselo, perché quando il male abbandona la propria presa il vortice dell'esistenza assume forme che spingono al sacrificio di sé

Come una cavità lasciata libera da un'orda di pipistrelli fuggita via il cuore di Azec, svuotato, pianse qualcosa che gli era sconosciuta, e assomigliava a una speranza di morte che si sarebbe trasformata in una vita vera.

—Io ora sarò libero, compiuto l'ultimo necessario passo
—Azek non berrà più la vita di altri che non può avere per sé
—Azek succhierà dentro di sé la morte che non lo ama!—

Ezra, il vampiro più antico tra loro, si alzò in un impeto di follia animale, ma non urlò

—Che dici, sei impazzito?
—Nessuno può superare la propria natura, nessuno può liberarsi da sé—

Azek finse di non udire e continuò

—Dentro di me ho scrutato un buio diverso, ho visto il perché del vortice e la ragione dell'impossibilità d'uscita
—Fuori di me ho capito il senso di una rinuncia
—Tutto il male che ci avvolge è un servo!—

L'orda si alzò come fosse guidata da una sola volontà, e un coro di ansie con la forma di paure inconfessabili divenne un sibilo, che si avventò contro il buio che comandava alla luce per essere da lei illuminato

—Azek non ha con sé il brillio del sapere, perché nulla può splendere senza ucciderlo!—
La voce di Ezra sentenziava la certezza che il popolo dell'ombra aveva da quando esisteva nel mondo delle forme incostanti

—Azek ora conosce senza sapere della luce, Azek sa attraverso la notte dei tempi
—Azek ha visto un buio superiore all'assenza di luce e alla presenza di luce
—Azek è figlio, come voi tutti, di una totalità priva di parti, senza divisioni in sé
—Azek vuole tornare a essere l'embrione di una possibilità in divenire, libero dalla costrizione che ha trasformato il suo essere in sete mai sazia
—Azek desidera realizzare ciò che voi tutti non avete il coraggio di dire a voi stessi!—

Come in bestie costrette nell'angolo dalle proprie ataviche paure, lunghi artigli sfoderarono la loro ferocia, annaspando in un vuoto lasciato da un nemico ancora sconosciuto, e larve di timori repressi nel sangue iniziarono a contorcersi, come mosche imprigionate in un destino che non riusciva a compiersi senza un cadavere da consumare.

—Che Azek mostri di cosa sta parlando, per non lasciare morire nel vuoto il vuoto di ciò che ha detto!—

Ezra era furioso

Un silenzio irreale ricompose l'ansia in ghigni di disprezzo che lasciavano immaginare coppie di acuminati denti tremanti di rossa emozione

Azek si mosse verso Ares che s'irrigidì di paura, la toccò senza chiederle consenso e la strinse a sé con la forza di un colpo secco

Entrambi crollarono al suolo trafitti da un'invisibile arma, e da due esseri senza anima si levò una sola luce.

L'orda, a quella presenza, si dileguò nei cunicoli come un'esalazione di morte e in quella caverna, tornata vuota come un ventricolo appena nato, prese a pulsare la vita.
Non un essere compiuto, ma un embrione di luce si acquattò, con l’istinto di un predatore, tra quelle rocce ancora umide di disgusto. Era assetato di vita nuova e bisognoso di un gelo da scaldare.
Senza una sola via d’uscita i senza anima vagavano, attraverso la cecità del sottosuolo, cercando altro buio. Avevano visto, anche se solo per un breve attimo, il modo in cui nasceva la luce che odiavano, e l’amore che l’aveva fatta pulsare.
La temevano più dello stesso loro destino, come ogni creatura teme l’ignoto.
Ora erano prigionieri di lei, sapevano che era ancora lì che li aspettava, ne percepivano i riflessi violacei sentendone la forza chiara.
Come talpe vendicative agitavano gli acuiti sensi, alla ricerca di uno spazio sufficientemente largo da contenere il loro numero e lo trovarono.
Ezra, con un moto di affanno cercò di analizzare le possibilità di fuga, nessuno lì dentro avrebbe voluto essere fecondato dal Mistero che li stava aspettando.

La non gente, spaventata dalla possibilità di fusione vista attuarsi nella grande caverna, stava disposta in due gruppi separati, dove maschi e femmine parevano respingersi con disgusto.
Nessuno di loro avrebbe mai accettato di scambiare il proprio dolore con la debolezza di un vivere che avevano sempre spento.
Asura diede una leccata col pensiero a Erca, e ne annusò il fetido alito. Gli era sempre piaciuta Erca, così rapida a dileguarsi in una scia di sangue. Erca lo ricambiò con uno sguardo astioso, distogliendolo in fretta dall’orizzonte rossastro del suo essersi imposto.
Le piaceva Asura, anche se non avrebbe potuto dire la ragione.
Azek e Ares avevano lasciato loro il marchio di un ricordo terribile, con il peso di un pensiero rifiutato che aveva, per nascere, violentato la volontà che lo negava.
Ognuno di quegli esseri si accorse di avere una corrispondenza nel genere sessuale opposto al proprio, e di poterlo desiderare senza doverne bere la vita apparente.
Solo Ezra non aveva opponenti, perché Uria, la vampira antica quanto lui, si era dissolta nel nulla in tempi dimenticati.
Ezra, infettato dalla stessa memoria che aveva fatto irruzione nell’adunanza, ricordava i lineamenti duri di lei che lottavano con la trasparenza dei propri occhi. Era quella trasparenza ad averla indebolita, Ezra lo sapeva, perché la trasparenza è la casa della luce.
Digrignò i denti in un moto di gelosia che non aveva mai provato, rimpiangendo di esserci ancora.

—Quanti tra voi rinunceranno a gioire dell’ombra, a godere del terrore che incutono gli aborti, per aggrapparsi a speranze destinate a morire?— disse enfatico.
—Volete dissolvervi come Azek e Ares unendo la vostra fine al nulla?—

Suria, una bambina di dieci secoli che sembravano anni si scosse dal torpore che l’aveva incantata in una supplica agli occhi di Lixio, il suo orrendo nemico, per la prima volta accesi di sconforto
—C’è qualcosa, in me, che non è un aculeo, disse la bimba
—Qualcosa che potrei spegnere, se lo volessi
—Lo so da sempre…—

Lixio, che avrebbe voluto sopprimerla, era certo lei avesse ragione, anche lui sentiva il disgusto dato dall’insoddisfazione di non poter cercare nelle aperte distanze.
Ormai in quella fossa si stava compiendo un rito, nel quale l’esistenza dei nati morti si divincolava, incastrata nella fessura aperta dal dubbio.
Alla sete di sangue che trovava riposo, nel sole di una coscienza rifiutata, si opponeva una nuova debolezza che minava la furia; nella potenza di un corpo senza malattie si era introdotta la carie del chiedersi il perché di tutto questo.
Mentre il fluido della vita perdeva il suo sapore nerastro, il male piangeva di sé.
Altri dèmoni si accalcheranno in quel posto che non si libera mai, perché sono in molti a ignorare la servitù obbligata in cui il dolore dà coraggio alla vita.
Altre lacrime saranno versate, sporche del sangue innocente di chi ancora spera.
Eppure, ancora una volta la verità di una condizione dell’essere si trovava appesa al cappio nel quale è condannata ogni ombra, quando la forma da cui essa trae vita cessa di essere una forma per sacrificarsi alla Realtà che forme non ha, perché è più del contorno che traccia limiti.
Ancora una volta le opposizioni scoprivano di trovare sollievo innamorandosi l’una dell’altra, nello svelamento della ragione che aveva voluto entrambe.
Ogni vampiro correva sulla sfera folle della propria realtà, scambiando l’orizzonte sfuggente per Eternità, ma quella sfera si sarebbe consumata presto, nello stesso modo in cui il sangue si prosciuga, perché la sete che affligge la vita non di sangue ha necessità, ma di luce.
La Luce li trovò, inginocchiati davanti al loro dèmone, tra le nebbie della loro coscienza che non si era mai spenta.
Ma non toccò nessuno, perché mai la luce si impone, anche se quando si mostra nessuno può più dimenticarne la presenza.
Il fuoco che ardeva al centro di quella che era stata un’orda assetata di fluido vitale non era obbligato a illuminare coscienze. Non il calore crea la luce, ma è la luce che può anche scaldare.
La morte, improvvisamente divenuta amica, raccolse la polvere diventata fango per le lacrime e diede nuove forme a quelle essenze vitali.
A nessuno è negata la possibilità di redenzione, nemmeno al dèmone che fuggì ruggendo, nei profondi abissi dove anime perse vagavano senza cercare la verità.

Molti sono coloro che nascono nel pianto e muoiono piangendo, alcuni nascono già morti, anche al pianto, per questo non lo ascoltano quando rubano vite, eppure il pianto resterà inchiodato al loro destino fino a quando quel destino non si fisserà nella vera e unica immortalità possibile.
Quella Assoluta.

Massimo Vaj 










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