lunedì 28 giugno 2010

La sala d'aspetto




Morire non deve spaventare, perché si è sempre aiutati dal deliquio che attutisce il dolore, mentre nella sala d'aspetto che ti attende dopo non c'è una sola possibilità di perdere conoscenza.
Chi s'immagina che il morire sia semplicemente qualcosa che cessa di essere deve solo sperare di crederci fino in fondo, perché solo in quel caso gli sarà concesso di dormire ancora un poco e riposare, fino a quando non si può dire, e non sarà piacevole scoprirlo. Io ho preferito stare sveglio e guardare gli eventi, nella convinzione avuta nella vita lasciata alle spalle, che è sempre meglio sapere che illudersi, se si ha la forza di sopportarlo.

Non so ancora perché di questa sala d'aspetto non si sapeva nulla, quando si respirava in un corpo che pulsava liquidi, ma immagino sia per la stessa ragione che ci impediva di imporre al cuore, col pensiero, la vita o la morte.

La sala è delimitata dalla natura di una domanda, la quale è una per ognuno, ma uguale per tutti.
Io ora sono dall'altro lato di quella domanda, per la quale mi è stato concesso di vedere la risposta, per questo posso raccontare della sala, e del Mistero che continua dopo.

Nella sala non c'ero che io e i miei dubbi, e un velo sul cuore della mia intelligenza.

Lo scopo della sala è quello di scostare quel velo senza sostituirlo con la pazzia.

L'Intelligenza che rivela svelando non ha necessità che la domanda sia posta, né risponde a parole, ma io quelle devo usare se voglio dire a voi della mia pena.

Avevo davanti a me il cielo, nero e spesso dell'incoscienza, pieno di numeri scritti con la luce, che si risolvevano e complicavano in formule indecifrabili, che diventavano stelle sempre più grandi e misteriose. Tutti quei calcoli erano cominciati da un numero, l'uno, e in tutti quei numeri successivi quella unità era lì a sorreggerli, motivandone il senso.
Non c'era, in ogni parte di quella inestricabile complicazione di numeri, un numero che non dovesse la sua necessaria esistenza all'uno iniziale, del quale costituiva una modificazione.

Qualsiasi risultato di quel vivo calcolare sarebbe dipeso dalla legge impressa dall'unità primordiale, pallottola di un pallottoliere del quale non si poteva vedere il telaio.
Quell'unità era una totalità che tutti i calcoli aveva dentro di sé prima che si potesse calcolare.

Le conseguenze di questo erano stupefacenti, perché l'inizio e la fine coincidevano nell'unità, ma in tutto il correre che li separava ci stava la nostra sofferenza del vivere, insieme alla nostra gioia.

Ogni evento nel quale ci si trova è reso possibile dai nostri bisogni e dai nostri sogni, ogni goccia di pioggia, ogni raggio di sole è dedicato esclusivamente a ognuno di noi.
L'intero universo esiste, perché ognuno di noi è.
L'universo è personale e riservato, nel suo non essere una proprietà.
Se piove perché abbiamo bisogno di bere, piove per ognuno di noi, solo per ognuno di noi.
Se il sole deve asciugarci, ogni suo raggio è dedicato a ognuno di noi. Tutto il sole esiste, perché ognuno di noi è.
Quando si osserva il cielo nero che contiene la possibilità del giorno lo si vede pieno di calcoli che brillano; quei numeri sono, per ognuno di noi, diversi e dedicati a ognuno di noi, ma da tutti sono visti come fossero gli stessi dedicati a nessuno.

C'è una ragione per la quale io, ora, posso parlare.
Questa ragione vale solo per me, nessuno di voi mi potrà capire e io, per questo, non riuscirò a svelarvi il Mistero che vedo, per questo la sala d'aspetto aspetta anche ognuno di voi.
Lei è unica per ognuno, e risponderà alla domanda che ognuno avrà nel cuore della propria intelligenza.
Nessuno di voi saprà in anticipo che quella domanda è la stessa per tutti, ognuno crederà che sia solo sua, la sua propria domanda, e che la risposta sarà a misura di ognuno, e così è, perché tutti noi siamo quell'Uno, senza ancora saperlo.

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