lunedì 29 novembre 2010

Gelo
Il gelo era sceso improvviso, implacabile come un inverno, e si era fatto guardare, come chi non teme di avere qualcosa da nascondere, perché la natura si nasconde solo quando è a caccia di se stessa.
Il gelo della solitudine tempra l'anima, come il corpo di un torturato indurisce il ferro arroventato che lo penetra, oppure la uccide.
Nessuna luce irradiava dal fuoco che stava consumando il corpo di quella che era stata sua moglie, espressione di un'anima che aveva voluto fosse cremato, e l'urlo di disperazione lo allontanò da un Cielo che non riusciva più a guardare sorridendo.
Uscì piano, trascinandosi all'esterno di quella fornace dove neppure le bestemmie danno sollievo, con la mente appoggiata a ricordi che lo trafiggevano di un calore simile a quello dell'ultimo abbraccio.
Sua moglie se n'era andata nella speranza che lui riuscisse a essere forte, e la speranza di lei era rimasta, per lui, l'unica ragione di vita. 
Una ragione che se n'era andata con la sua vita.
Ricordò che le disse di aprirsi a un uomo, quando lui fosse morto per primo, in quella folle maratona che vede al via tutta l'umanità che vive non guardando la morte negli occhi.
La ricerca della felicità gli parve la cosa più stupida che si potesse fare, in un universo che perseguita la vita.
Si diresse verso l'uscita, tra due file di cipressi scuri in volto, come soldati che non potevano dimenticare di essere in una guerra perenne.
Fissò il sole come a sfidarne i gelidi raggi, e lui si nascose dietro a un cielo del colore di un'arma, poi rivolse lo sguardo a terra e capì che la terra, per riflettere il cielo, doveva sciogliersi per accogliere quella tenerezza in sé.
Camminò tutta la notte, in un paesaggio sempre uguale a se stesso che non sarebbe più cambiato, nemmeno all'arrivo del giorno.


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