La mente si allena attraverso il pensiero, ma perché l'allenamento la metta in grado di seguire concetti articolati e complessi, senza addormentarsi o perdersi, occorre che ci sia un'attenzione acuita dall'interesse. La mente difficilmente ferma il flusso dei propri pensieri, e poco importa se questi sono qualitativamente elevati oppure squallidi; essa segue qualsiasi cosa le passi davanti, trastullandosi spesso con delle idiozie. Miliardi di persone ricamano coi pensieri desideri e paure, disprezzando la mente capace di fermare quel tenace e instancabile lavorio, dal quale nascono sia le azioni generose che quelle egoiste, il distacco o l’indifferenza. Come un alone che tutto ricopre la mente elabora concetti e teorie, facendolo attraverso l’utilizzo di comparazioni associative, analogie, contrasti, ricordi, aspirazioni, desideri, rabbie, inseguendo tutte le emozioni che la percezione e il sentimento subiscono, o fanno subire, e con la sua coltre la mente tenta di sovrapporsi a una realtà che supera il pensiero e la consequenzialità relativa di quest’ultimo, e in questa sovrapposizione falsifica, non essendo in grado di cogliere l’aspetto celato che è ragione d’essere della realtà manifestata. La conoscenza ottenuta dalle esperienze e decodificata dalla mente non può essere identificativa, perché per esserlo dovrebbe identificarsi senza scarto con l’oggetto della conoscenza, rifiutando interpretazioni che ne possano distorcere la visione. L’intelligenza individuale non è identificativa perché essa è costretta, dai limiti che le sono connaturati, a interpretare attraverso la consequenzialità del pensiero. Tutte le scienze umane non possono concepire il modo diverso di conoscere dato dall’avere avuto accesso all’intelligenza universale. L’intelligenza universale è unica, e permea l’intero universo; essa è immediata e non sottomessa alla durata temporale perché non è relativa, ma totale. Essa non utilizza la mente per sapere, e “vede” la verità al di fuori del dubbio, nell’immediatezza che lascia alla mente soltanto la possibilità di tradurre in parole la verità vista, traduzione che necessariamente è costretta a tralasciare l’essenza non relativa che non può essere comunicata.
Le persone che “vedono” i princìpi universali che ordinano il dispiegamento della realtà vedono gli stessi princìpi e la stessa Verità di principio, ma possono scegliere da quale visuale considerare le conseguenze di questi princìpi. La vista degli universali contempla anche l’ordine gerarchico nel quale i princìpi sono ordinati tra loro, in ragione del grado di prossimità logica e temporale al principio primo manifestato dall’Assoluto. L’iniziato ai misteri della trascendenza ha una lunga strada davanti a sé, perché la conoscenza degli universali, oltre a essere identificativa, deve anche essere realizzativa e attuata nella propria vita, perché la Verità è totale. All’intelligenza individuale, effetto individuale dell’Intelligenza universale, non è consentito superare i limiti propri all’individualità caratterizzata dal possesso. L’Intelligenza universale non possiede e non può essere posseduta. L’essere umano può avere accesso a essa perché la centralità individuale è assoluta, ed è proprio questo “vedere” al disopra del tempo, concesso dalla comunicazione consapevole col centro di sé, che apre alla vista del Vero principiale. Vista che non è il conoscere tutto di tutto, quest’ultimo è la meta finale del conoscere data dall’identificazione alla Libertà assoluta, ma corrisponde al vedere princìpi e loro conseguenze in dipendenza del grado di sviluppo interiore, che è dato dall’applicazione delle verità conosciute, in modo non interpretativo, alla propria esistenza. Per vedere in sempre maggiore profondità ed elevatezza il Vero occorrerà essere aderenti alla Verità conosciuta, in tutto ciò che si è scelto di essere, e questo implica il sacrificio di tutto quello che non è il Sé centrale al quale ci si dovrà identificare.
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