L'inferno, come tutto, deve per forza avere i suoi alti e bassi e non può essere eterno, perché se lo fosse sarebbe sovrapponibile a Dio e la misericordia di quest'ultimo andrebbe a farsi fottere.
Alti e bassi che corrispondono a diverse gradazioni di una sofferenza che dev'essere prima di tutto interiore, l'esteriore essendo caratteristica dell'esistenza manifestata che più o meno subiamo.
Esteriorità che deriva dall'interiorità.
Necessariamente l'inferno non potrebbe essere privo di collegamenti con la realtà esteriore alla quale diamo il nome di vita, e questi legami li si nota quando si soffre.
A volte si soffre al punto da credere che il mondo sia il luogo geografico dell'inferno e, di conseguenza, anche del paradiso.
Sarebbe sconcertante, perché la cosa implicherebbe che tutti i Profeti hanno mentito.
In effetti le possibilità implicate nella manifestazione della realtà relativa chiamata esistenza sono in moltitudine indefinita, espressa su altrettanti indefiniti piani di realtà, non potendoci essere un confine raggiungibile all'interno della realtà universale, ciclicamente modulata e dunque sferica.
È un bel rompicapo, complicato dalla necessità di dover anche essere espresso simbolicamente.
Inferno significa dolore e sofferenza, e poiché tutta l'esistenza è caratterizzata da dolore e sofferenza si può presumere che l'inferno sia una delle modalità dell'essere, perché se fosse un luogo sarebbe all'interno dello stesso universo, dal momento che "universale" significa che riguarda il tutto.
L'universo, che è relativo, implica che l'inferno non potrebbe essere eterno, perché eterno indica superiore alla durata temporale alla quale l'intero universo è sottomesso.
Sembrerebbe pochino, ma è meglio di niente sapere che la sofferenza interiore non potrà essere eterna.
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