Era vissuto ridendo al pensiero che potesse esserci
l'inferno, e gli era sembrata giusta l'interpretazione dei preti che dicevano
dovesse essere vuoto, perché così vuole la misericordia divina.
Dunque non si preoccupò del peccato, né del suo essere
egoista.
La morte lo colse nel sonno, e gli sembrò la prova che
non ci fosse un castigo postumo, tanto superfluo per chi non può più far del
male.
Il morire gli aveva sottratto il corpo insieme ai
ricordi e gli affetti provati nella vita, ma non l'intelletto che al centro di
sé reclamava giustizia.
Non era un luogo quello dove si trovava ora, e non
c'erano fiamme a bruciare quello che si era incendiato da sé.
La morte non gli parlava d'altro, e lui comprese quale
fosse il compito che l'Amore di Dio gli aveva assegnato: era diventato un
angelo custode, e soffriva ogni volta che aiutava qualcuno, patendo le stesse
sofferenze che risparmiava agli altri.
Ora era finalmente felice, perché sapeva che l'inferno
e il paradiso sono la stessa, identica, cosa.
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