Come fosse un morto vivente
Accade spesso che alcune persone, invecchiando,
acuiscano i difetti che avevano anche da giovani, e lo fanno attraverso
l’esaltazione della propria cattiveria.
È un peggioramento inevitabile dovuto alla negazione,
protratta per molti anni, della possibilità di riconoscere la propria
responsabilità nei confronti delle sofferenze che la vita ha loro inflitto. Chi
dà sempre ad altri le colpe della propria difficoltà di vita, escludendo il
proprio coinvolgimento nelle cause di quel soffrire, si trova nella stessa
condizione di chi, negando a priori una verità, perde l’accesso alla
comprensione di quella verità.
Così, senza neppure accorgersi, chi si ritiene sempre
innocente perché giustificato dalle circostanze avverse, sviluppa col passare
del tempo una acuta sofferenza psichica data dall’aver oscurato, velo sopra
velo, la propria coscienza.
L’allontanamento dalla verità innalza un muro di
energia psichica edificato, mattone su mattone, dai pensieri positivi su se
stessi e negativi sulle altre persone.
In questa prigione costruita da sé, senza poter
prevedere che essa avrebbe sottratto l’aria necessaria alla vita, la persona
soffoca senza sapere il perché, e si arrabbia ancora di più in ragione del non
potersi spiegare le cause di quella pena.
Rinchiuso in se stesso l’individuo si allontana
gradualmente dagli altri, che vedono in lui solo la follia dell’essere pieno di
sé, senza alcuna capacità di comprendere le ragioni altrui.
Agendo in questo modo l’individuo emana l’energia dei
propri pensieri, e delle azioni conseguenti, che determinano un’aura negativa
attorno a sé.
L’organismo si intristisce e si ammala di conseguenza,
in questo precipitare nel buio psichico dell’incoscienza voluto dalla falsa
idea positiva avuta di sé, inconsapevolezza mantenuta in vita come fosse un
morto vivente.
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