L'universo si sa, è uno, a immagine del Centro che l'ha generato, e tutto comprende non potendo escludere che l'impossibile a realizzarsi in nessuno dei suoi indefiniti piani di realtà, quello dei sogni compreso.
— Lì si realizzano le cose più strambe—
pensò Vidharr, guardandosi attorno stralunato, nell'impossibilità di cogliere il senso di quello che vedeva. I nani, escluse rare eccezioni, non dormono molto e si danno un gran daffare a costruire castelli e strade in dura pietra, scavare miniere dove estrarre metalli e pietre magiche e corteggiare nane pericolose, con le quali tentare invano di esporsi in vanterie che le nane mortificano senza alcuna pietà, maneggiando una cruda superiorità intellettuale che è l'unica arma che un nano ha problemi a schivare.
Questa loro natura non li spinge, di solito, a dare eccessiva importanza al corpo dei sogni evanescenti che insidiano la loro connaturata solidità.
Per la stessa ragione i nani poco apprezzano tutto quello che mette in precario equilibrio convinzioni e conoscenze, le quali si allungano misteriosamente nel loro epico passato, allo stesso modo in cui l'intreccio di grotte, scavate dagli antenati, si perde sprofondando verso il centro del pianeta, infuocato come la fucina che arde nei loro cuori.
Ma questa volta era uno strano sognare, quello che accompagnava le solide convinzioni di Vidharr verso il pericolo di sgretolarsi, e i responsabili dovevano essere stati i funghi raccolti nella grotta del labirinto oscuro.
Gli tornavano alla mente antichi ricordi di frasi sussurrate alle sue orecchie appuntite dalla nonna, che gli ordinava di calpestare quei frutti del diavolo e di non guardarli neppure.
Lui, entrato nella grotta del labirinto oscuro inseguendo un coniglio selvatico, si era perso e aveva vagato per un tempo interminabile tra quei cunicoli, ciechi come la sua anima che aveva dovuto azzittire per riempirsi lo stomaco. Già, lo stomaco. La sua nonnina gli aveva insegnato a diffidare anche di quello, assicurandogli che era l'antro del demonio e che aveva due uscite: una davanti e l'altra dietro, ma tutte e due conducevano all'inferno.
Come non darle ragione ora che nei suoi occhi quelle fiamme roteavano insopportabili, pulsandogli nel petto come a volergli urlare che il mondo stava lì, davanti alla sua intelligenza, ma non era come lui l'avrebbe voluto, era molto più bello.
Aveva dovuto mangiarli quei maledetti funghi, per non morire di fame, e non era più sicuro che ne fosse valsa la pena. Adesso che il mondo parlava non attraverso la solita voce che lo aveva tormentato fino a quel giorno, ma per immagini nude, veloci e crudeli come sa essere la verità quando esplode. Di fronte al terremoto di emozioni che gli faceva tremare quel suo cuore di nano, generoso e temerario, che segnava il centro del suo esserci, lui era immobile perché non c'erano frecce da schivare né lance da spezzare. C'era solo un nano e la sua dignità, offesa dal nuovo scorrere degli eventi che l'avevano ricondotto fuori da quel buio, ricomponendo il labirinto della caverna nell'altro labirinto, quello interiore e che, stando fuori dalle sue previsioni, aveva una sola uscita che sfociava nel destare il suo spirito.
Il bosco era più gigantesco di quando l'aveva lasciato per entrare nel labirinto oscuro, e vivo come non lo aveva mai visto prima.
I rami si muovevano sinuosi e sembravano salutare la sua diversa coscienza che, confusa da tanta bellezza, gioiva come se avesse avuto le ali.
I piedi si muovevano leggeri tra i rami secchi, e le foglie erano percorse da tutte le sfumature che il giallo conosce. Non un inciampo sul sentiero non tracciato dagli uomini, ma solo da un Mistero che si divertiva a nascondersi, mostrando i propri fantasmi in una vorticosa danza di immagini che inebriavano di vertigine.
Il suo turbinio di pensieri aveva la forma delle nuvole che si rincorrono nel vento, assumendo forme che non si possono fissare, senza meravigliarsi della sfrenata fantasia di un cielo che non era mai stato vuoto.
Arrivò al villaggio a sera inoltrata, stanco e con gli occhi cerchiati da cornici nelle quali ancora correva l'energia dello stupore.
I bimbi gli corsero incontro in cerca di bacche dolci, ma si fermarono quando sentirono il tremore nelle sue mani e lo videro stanco e sfatto, come un letto dove si è trascorsa la notte a piangere.
La notizia del suo arrivo, dopo una settimana di assenza, si diffuse veloce quasi quanto la contentezza di saperlo vivo, e Ghedra non ebbe nemmeno la forza di corrergli incontro perché quella forza doveva servirle per frenare le lacrime.
Questa loro natura non li spinge, di solito, a dare eccessiva importanza al corpo dei sogni evanescenti che insidiano la loro connaturata solidità.
Per la stessa ragione i nani poco apprezzano tutto quello che mette in precario equilibrio convinzioni e conoscenze, le quali si allungano misteriosamente nel loro epico passato, allo stesso modo in cui l'intreccio di grotte, scavate dagli antenati, si perde sprofondando verso il centro del pianeta, infuocato come la fucina che arde nei loro cuori.
Ma questa volta era uno strano sognare, quello che accompagnava le solide convinzioni di Vidharr verso il pericolo di sgretolarsi, e i responsabili dovevano essere stati i funghi raccolti nella grotta del labirinto oscuro.
Gli tornavano alla mente antichi ricordi di frasi sussurrate alle sue orecchie appuntite dalla nonna, che gli ordinava di calpestare quei frutti del diavolo e di non guardarli neppure.
Lui, entrato nella grotta del labirinto oscuro inseguendo un coniglio selvatico, si era perso e aveva vagato per un tempo interminabile tra quei cunicoli, ciechi come la sua anima che aveva dovuto azzittire per riempirsi lo stomaco. Già, lo stomaco. La sua nonnina gli aveva insegnato a diffidare anche di quello, assicurandogli che era l'antro del demonio e che aveva due uscite: una davanti e l'altra dietro, ma tutte e due conducevano all'inferno.
Come non darle ragione ora che nei suoi occhi quelle fiamme roteavano insopportabili, pulsandogli nel petto come a volergli urlare che il mondo stava lì, davanti alla sua intelligenza, ma non era come lui l'avrebbe voluto, era molto più bello.
Aveva dovuto mangiarli quei maledetti funghi, per non morire di fame, e non era più sicuro che ne fosse valsa la pena. Adesso che il mondo parlava non attraverso la solita voce che lo aveva tormentato fino a quel giorno, ma per immagini nude, veloci e crudeli come sa essere la verità quando esplode. Di fronte al terremoto di emozioni che gli faceva tremare quel suo cuore di nano, generoso e temerario, che segnava il centro del suo esserci, lui era immobile perché non c'erano frecce da schivare né lance da spezzare. C'era solo un nano e la sua dignità, offesa dal nuovo scorrere degli eventi che l'avevano ricondotto fuori da quel buio, ricomponendo il labirinto della caverna nell'altro labirinto, quello interiore e che, stando fuori dalle sue previsioni, aveva una sola uscita che sfociava nel destare il suo spirito.
Il bosco era più gigantesco di quando l'aveva lasciato per entrare nel labirinto oscuro, e vivo come non lo aveva mai visto prima.
I rami si muovevano sinuosi e sembravano salutare la sua diversa coscienza che, confusa da tanta bellezza, gioiva come se avesse avuto le ali.
I piedi si muovevano leggeri tra i rami secchi, e le foglie erano percorse da tutte le sfumature che il giallo conosce. Non un inciampo sul sentiero non tracciato dagli uomini, ma solo da un Mistero che si divertiva a nascondersi, mostrando i propri fantasmi in una vorticosa danza di immagini che inebriavano di vertigine.
Il suo turbinio di pensieri aveva la forma delle nuvole che si rincorrono nel vento, assumendo forme che non si possono fissare, senza meravigliarsi della sfrenata fantasia di un cielo che non era mai stato vuoto.
Arrivò al villaggio a sera inoltrata, stanco e con gli occhi cerchiati da cornici nelle quali ancora correva l'energia dello stupore.
I bimbi gli corsero incontro in cerca di bacche dolci, ma si fermarono quando sentirono il tremore nelle sue mani e lo videro stanco e sfatto, come un letto dove si è trascorsa la notte a piangere.
La notizia del suo arrivo, dopo una settimana di assenza, si diffuse veloce quasi quanto la contentezza di saperlo vivo, e Ghedra non ebbe nemmeno la forza di corrergli incontro perché quella forza doveva servirle per frenare le lacrime.
— Fannullone di un marito incosciente!— Vidharr sentì tuonare nella testa, e pensò che mai Ghedra si era così avvicinata alla sua realtà interiore.
L'effetto dei funghi era ancora nel pieno dello sfavillio di meraviglia e Vidharr sapeva che il suo nuovo vedere gli avrebbe rivelato un lato del suo villaggio che non avrebbe mai voluto conoscere.
Entrò nella sua casa e gli sembrò troppo piccola per un cuore che era stato una cosa sola con la foresta e il cielo, nella consapevolezza di avere un unico Padre, più piccolo anche di un nano, ma più grande dell'universo intero.
Vidharr aveva un corpo temprato meglio di una spada, e sodo come quello di un sasso quando è privo di venature, ma il suo animo era gentile come una mammola appena uscita dalla terra per guardare la primavera, e l'effetto dei funghi lo stava scombussolando più dell'accarezzare una piccola pietra magica.
Incapace di stare fermo, in quella sua casa che teneva fuori il mondo, decise di uscire e di sedersi sulla pietra tonda che stava al confine esterno del villaggio. Da lì avrebbe potuto guardare, senza essere disturbato, la fantasia del Padre che pennellava la realtà senza tralasciare un solo colore. I tetti di paglia che punteggiavano il villaggio, come i bottoni bianchi decorano un'amanita muscaria, sembravano prendere per i capelli le pareti che li sostenevano, e tutto aveva l'aspetto di stare a gambe all'aria. Nulla scombussola un nano più del ribaltamento delle proprie convinzioni. A pensarci bene era così anche per i gambalunga che, come accadeva per i nani, erano capaci di urtare l'evidenza, spintonandola, pur di appropriarsi della ragione.
L'aria che ondeggiava divertita attorno ai suoi occhi lo convinse che le allucinazioni hanno un proprio spessore, che assomiglia a quello dei sogni, e che ti può far ridere nel sonno, oppure urlare di terrore.
Ben presto, a cominciare dai bambini, una moltitudine di nani e nane gli si raccolse vicino, accovacciandosi attorno silenziosa, nell’aspettativa di una rivelazione che uscisse da quegli occhi i quali, diventati più neri e luminosi, mostravano di poter scavare una più profonda galleria dentro ai segreti che custodivano quella che era, per tutti, una realtà che mostrava la propria amorevolezza raramente, e solo alla chiusura del sipario.
Vidharr, che avrebbe desiderato stare solo e che provava vergogna in quel sentirsi nudo davanti a un mondo che lo incitava, prese a guardarli uno per uno, alla luce delle vampate di fiamma fredda che illuminava quei volti tondi, nei quali erano incastonati occhi che volevano sapere cosa può nascere al di fuori del consueto.
Lui li percepiva come fossero tutti suoi figli, nati da Ghedra, la sua amata moglie, tosta, necessaria e fluida come è la pietra quando affila le lame.
Non osava pensare cosa lui avrebbe potuto essere senza di lei la quale, in disparte per non forzarlo troppo, quella sera pareva essere dentro al suo cuore, e forse da lì non sarebbe mai uscita.
Allo stesso modo dell'esistenza, che nasce senza chiedere permessi solo perché può, la voce di Vidharr prese a modulare un flebile canto che usciva da quello che pareva essere uno zufolo nella sua gola:
Dolce è la bruma che circonda la sera come fosse profumo di una cosa non vera
Piano si espande come un pianto sommesso rivelando paure che le stanno nel mezzo
Come da storia antica si dimentica presto e ci si riaddormenta attorcigliati al canestro
delle cose volute da incantesimi strani con i cuori induriti come fossero mani
che si allungano a prendere una bruma che sfugge come il cuore di nano che per questo si strugge
Le note della nenia, uscita dallo sguardo col quale Vidharr abbracciava il piccolo popolo dei boschi, si dispersero languide senza incontrare resistenze, e molti furono i cuori che le seguirono, almeno tanti quanti erano i luccichii di commozione che riflettevano lo scoppiettare delle fiamme, alzatesi a sfidare il vento che le portava via con sé.
Vidharr non sembrava più lui, e Ghedra fu sorpresa che il suo nano potesse lasciarsi andare ai moti dell’anima, come avrebbe potuto fare solo indietreggiando nel tempo. Ma Ghedra non aveva dubbi che uno come Vidharr, piuttosto di tornare sui suoi passi avrebbe scelto il bivio più pericoloso, e infatti così lui fece.
Si alzò dal sasso battendosi i vestiti, alzando un polverone che fece tossire di risa i nani a lui più vicini; riassettò il fuoco maneggiando i tizzoni rossi con le sue corte dita, che non temevano neppure l’inferno. Poi si sedette a gambe allungate, ché i nani non riescono a incrociarle, e subito Ghedra gli si accovacciò dietro la schiena, per sentirne di nuovo il calore e aiutarlo a star comodo.
— Raccontaci cosa è accaduto nella caverna dell’oscuro labirinto, che ti ha spalancato le pupille da farle sembrare onice raro—
L’onice, per i nani come per i gambalunga, era una pietra dura e nera, e ricordava il cielo senza sole delle grotte scure, simboleggiando il faticoso cammino che un essere percorre dentro di sé.
Vidharr parve solcare con la memoria luoghi lontani, e la sua voce si mosse improvvisa, insieme al brillio col quale il Mistero si nascondeva nei suoi occhi
— Avrei dovuto capire subito che quel coniglio non era quello che sembrava essere— iniziò guardingo
— Correva troppo piano, come se volesse farsi prendere— continuò
— Mi stava a un palmo di distanza e non riuscivo ad afferrargli la coda — Quando mi tuffai, sicuro di prenderlo, mi ritrovai al buio e capii che quello era il destino di chi, interessato solo a cacciare, non si accorge di essere anche una preda—
Dalla platea un diffuso mormorio di ansia seguì quelle parole, dimostrando, se ce ne fosse stato bisogno, che ai nani non piace essere scoperti.
— Ma il coniglio era ancora lì, fermo davanti a me, e mi fissava come a voler sostituire con gli occhi una smorfia di scherno
— Mi lanciai di nuovo e ancora per innumerevoli volte, fino a quando non fu più possibile tornare sui miei tuffi—
— Ohhh!— dissero i bimbi, con l’aria di chi non avrebbe mai più assaggiato una coscia di coniglio.
— Vagai per giorni, maledicendo la mia testa dura, e pian piano mi accorsi di girare in circolo—
— Come in circolo?— chiese un nano anziano, da sotto una lunghissima barba bianca che lo faceva sembrare un Babbo Natale in miniatura, ed era questa la ragione che aveva fatto dimenticare a tutti il suo vero nome
— La caverna dell’oscuro labirinto è circolare?— insistette il piccolo babbo natale
— No— rispose Vidharr
— Ma la magia fa apparire le cose come non sono, oppure come sono veramente e non ce ne siamo mai accorti—
Un brusio di approvazione legò tra loro stati d’animo che ascoltavano sulla punta di piedi troppo grandi, se confrontati al corpo che dovevano portare in giro.
— Quel girovagare per il labirinto somigliava sempre più al non saper dare risposte alla vita, quando lei ti mostra che l’hai sempre osservata dal lato sbagliato—
Un silenzio gelido scese improvviso, perché nessuno lì in mezzo, nemmeno i bimbi, aveva mai pensato di potersi sbagliare
— Noi nani, che grattiamo la schiena al mondo e piantiamo gli alberi che ci proteggeranno domani, non ci chiediamo mai il perché del mondo, noi diamo per scontato che tutto quello che ci circonda è lì, per avere noi in mezzo—
Una voce vicina, proveniente dalla schiena di Vidharr, tentò di correggerlo
— Perché, dove saremmo noi, se non nel mezzo di ciò che ci accade?—
— Mio adorato intrico di peli e muscoli— replicò lui
— Certo che siamo nel mezzo, ma non più di quanto ogni cosa è nel mezzo di tutte le altre cose—
Ghedra si trattenne dal mollargli una gomitata nei reni e non insistette oltre, l’avrebbe stangato più tardi, a casa, ché non le andava che i bambini la potessero vedere
— Dopo, non so dire quanto, cominciai a sperare d’incontrare anche un pericoloso cinghiale, pur di mettere sotto ai denti qualcosa di peloso e diverso da Ghedra— disse, guardandola di sottecchi con la coda dell’occhio, autorizzandola così a suonargliene di santa ragione, una volta che fossero ritornati alla loro casetta
— Ma trovai solo dei piccoli funghi magici…—
I nani, nessuno escluso, potevano mangiare quei funghi solo quando volevano parlare di persona al Padre celeste, e poiché la storia del piccolo popolo racconta che col Padre si parla solo da morti, nessuno li voleva assaggiare
— Ho dovuto farlo, il coniglio prima e il labirinto poi mi ci hanno costretto—
Nessuno gli credette, perché sapevano tutti che Vidharr era un ingordo imbroglione, certamente anche buono, ma si sarebbe mangiato persino le sue unghie se non le avesse avute così corte e nere
— Dopo un’oretta il drago dormiente si prese cura del mio spirito e lo svegliò con un calcio nel sedere—
Ghedra si sentì improvvisamente in sintonia con quel drago anche se, non avendone mai visto uno, non credeva alla loro esistenza, raccontata dalle leggende del popolo dei vecchi nani, sempre ubriachi di frottole
Il folto gruppo che lo attorniava curioso parve sollevarsi dall’erba, e l’erba sembrò anch’essa in un’aspettativa ansiosa
— Terribili vampate mi allargarono gli occhi e vidi nel buio, sia quello che incupiva il labirinto magico che quello che sigillava con un opercolo il mio occhio interno—
Nessuno aveva mai parlato di un occhio interno nei nani, e tutti parvero sul punto di dover sbattere una palpebra che non sapevano dove andare ad aprire
— Sì, nemmeno io avevo mai immaginato di avercelo, eppure i funghi ti fanno guardare il buio illuminando dall’interno il cuore, e i pensieri che vengono fuori da lì diventano, di colpo, più chiari e diversi, capaci persino di considerare il mondo partendo dal suo centro, e non come facciamo noi nani, pesandolo dal di fuori—
Commenti sommessi si accavallarono tra loro come una marea di disapprovazione, e gli sguardi si nascosero dietro sottili fessure, come quelli che caratterizzano i preti dei gambalunga
— Bambini a nanna!— dissero, alzandosi in coro, voci femminili e preoccupate
— Che domani si deve andare nel bosco interno a raccogliere le bacche dolci—
Così, accompagnati in fretta da una nana anziana alle loro capanne, la foresta di pensieri ancora giovani non avrebbe chiuso occhio, cercando di sbirciare tra le canne del muro che li avrebbe divisi dalle parole di Vidharr, il “quasi mago” del labirinto oscuro
— Ma che significa guardare il mondo dall’interno?— chiese una voce che esauriva il pensiero di tutti
— Vuol dire che lo sguardo sul mondo osserva prima le ragioni e dopo gli effetti che provengono da quelle ragioni—
A tutti sembrò un’ovvietà, perché nessuno di loro si sarebbe mai sporto a chiedersi dell’uovo e della gallina, il piccolo popolo le uova e le galline se le mangia, mica ci si fanno sopra i discorsoni
— Così tu, Vidharr, nel labirinto magico hai saputo se viene prima l’uovo o la gallina?—
I nani erano poco inclini ai sofismi impegnativi, in compenso però, sapevano andare al sodo, anche quando non si trattava di uova cotte
— C’è stato un tempo— riprese Vidharr
— Nel quale il tempo non scorreva, ed era come se fosse stato immobile sopra al vortice degli eventi che si preparavano per stringere le pietre nella morsa degli accadimenti futuri—
Non un respiro si fece udire, in quella marea di teste pronte a ridere a crepapelle dietro le balle che sarebbero uscite dalla bocca di Vidharr, che adesso tutti avrebbero volentieri chiamato: “il guerriero rintronato”
— In quel “non tempo” c’erano i semi del mondo, e anche le uova che sarebbero state galline, e oche e uomini e, infine, persino i nani—
Da ancora più in basso di dove stava la ressa un chicchiricchìcchì tentò di avvisare dell’arrivo dell’alba, ma fu interrotto subito, e poco gentilmente, da un calcione che sollevò una manciata di piume che caddero velocemente a terra, svenute come fossero state di piombo
— Sicché noi nani saremmo dello stesso lignaggio dei gambalunga spilungoni che si credono più vicini di noi al cielo?— chiese una nonnina che aveva la voce curva come la sua schiena
— Non ho detto questo, ma solo che tutti proveniamo dalla “Non esistenza”, la quale precede l’esistenza, ed entrambe zampillano dal Mistero scuro che si è fatto chiaro senza che i nostri occhi lo riescano a vedere—…
— Almeno fino a quando i funghi non ne mostreranno l’assenza di forma—
A quel punto nessuno ebbe, per quello scorcio di ormai mattino, più niente da aggiungere, e persino il gallo fu soddisfatto di avere avuto la conferma di ciò che aveva sempre sospettato essere la verità, senza aver mai avuto il coraggio di rivelarla al mondo: viene prima l’uovo della gallina e lui, che era il papà dell’uovo… veniva prima ancora…
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