Ci fu un tempo in cui fu creato lo spazio nel quale metterci il tempo, o il contrario, nessuno se lo ricorda più, fatto sta che in quella fatica del fare ci fu posto per combinare un gran casino. Finché si trattava di spazio e tempo, o il contrario, il problema della coscienza ancora non si poneva, ma sarebbe stata solo una questione di tempo, oltre che di spazio. Sì, perché da qualche parte la coscienza di sé doveva pure essere messa, dopo essere stata imposta.
La coscienza, prima ancora di sapere cosa fosse e cosa comportasse la sua presenza, andava commisurata agli esseri che ne avrebbero goduto, o l'avrebbero subita, secondo gli opposti criteri, rappresentati dai due punti di vista disponibili: quello del Creatore e quello delle creature.
Fu subito chiaro che la coscienza, non avendo un proprio peso specifico né una massa, non la si sarebbe potuta distribuire secondo una misurazione di corrispondenza volumetrica. Altri parametri non vennero subito in mente al Creatore delle creature, così fu deciso di dare a ogni essere una porzione di libero arbitrio, il quale avrebbe generato la necessità, per poter essere utilizzato, della coscienza di sé. Fu il libero arbitrio, quindi, a decidere il grado di coscienza di ognuno.
Per nessun genitore la concessione, seppur in piccole dosi della libertà di scegliere, costituisce manovra da attuare a cuor leggero, ma l'Assoluto non ebbe altra scelta che quella di concederla, perché la sua creazione doveva essere un allontanamento dalla Perfezione che Lui rappresentava e, dunque, una discesa nella possibilità di perdersi o ritrovarsi.
Nessuno potrebbe dire come tutto ebbe inizio, né se quello fu un inizio istantaneo oppure sofferto, e non si conosce neppure quali furono gli esseri comparsi per primi sulla faccia del pianeta che ci ospita. È questione ingarbugliata dal fatto che quando è la perfezione a dare motivo di essere al tutto… i primi esseri devono essere vicini a quella perfezione. Il contrario vedrebbe prossimi all'atto creativo gli esseri inferiori e peggio messi. Di seguito ci sarebbe anche da risolvere la qualità della posizione in cui saremmo noi umani, sulla scala gerarchica che dalla prossimità massima al principio creatore, si allunga verso il basso delle possibilità di essere.
A misurare questa gerarchia ipotetica dovrebbe essere il grado della nostra coscienza, capace di decidere anche la qualità della nostra libertà, e dei nostri drammi interiori.
È a questo punto che il credere o il non credere devono sopprimere il conoscere, altrimenti, se così non si facesse, si dovrebbe ammettere di essere tutti nella cacca.
Questo pensiero mi spinge a considerare la mia gatta sdraiata al sole, e mi riesce difficile credere di essere in una situazione di privilegio esistenziale. Per crederlo dovrò aspettare che attraversi la strada senza preoccuparsi delle strisce pedonali, e anche nell'eventualità tragica di un suo schiacciamento non tutti i miei dubbi sarebbero risolti.
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