Questo scritto è dedicato e rivolto a tutti coloro i quali sono convinti che, poiché l'esistenza deve la sua sopravvivenza alla violenza dell'inter-divoramento dei suoi elementi, questo sopraffarsi vicendevole, che poi vede il più forte sopravvivere a scapito del debole, viene interpretato come fosse una buona ragione perché sia emulata quella forza che garantisce il guadagno di un vivere indegno. Il mio breve studio mostra che costoro hanno torto e, con loro, intere correnti ideologiche e di pensiero degradato che hanno segnato di crimini e genocidi la triste storia dell'umanità.
C’è chi pensa che il fine giustifichi i mezzi e chi dice che è, invece, l’insieme dei mezzi usati per raggiungerlo.
La questione sollevata dall’accostamento di queste due visuali, in opposizione tra loro, è così interessante e importante da dover essere sviluppata e chiarita, perché le conseguenze che ne derivano sembrano altrettanto inconciliabili dei due punti di vista che si fronteggiano, ed è importante trovare una soluzione che sia in armonia con i principi universali dell’esistenza.
Se questo fine fosse rappresentato da un numero, scomponendo a ritroso questo numero si vedrebbe che i numeri ottenuti da questa divisione porterebbero al numero rappresentato da questo fine per differenti vie di calcolo, le quali sono altrettanti modi diversi di calcolare, per somma o sottrazione o per moltiplicazione e divisione, questi numeri parziali che condurranno a quello totale. Così, se il fine fosse dieci, le dieci unità che lo compongono arriverebbero al dieci per somma di unità, ma potrebbero arrivarci anche per moltiplicazione, con un due per cinque o con un tre più tre più tre più uno, oppure tre per tre più uno, o cinque più cinque etc.
Questo modo di arrivare al fine utilizzerà I numeri che sono compresi nel dieci, e sarebbe la rappresentazione di un fine che è esplicato dai mezzi che gli appartengono.
L’altro caso, invece, può riferirsi a una sottrazione o a una divisione, e il numero dieci essere ottenuto, per limitarci a un paio dei molteplici e possibili esempi, da trenta meno venti o da quaranta diviso quattro. Né il primo, il trenta, e neppure il secondo, il venti, allo stesso modo del quaranta, sono compresi nel dieci, eppure conducono allo stesso identico fine: il dieci.
Si è costretti ad ammettere, di conseguenza, che il fine sia possibile raggiungerlo sia con mezzi compresi in quel fine, sia con altri che non lo sono.
Eppure risalta, con evidenza, che gli esempi fatti fino a ora sono di un ordine essenzialmente riferito all’aspetto quantitativo dei numeri. Che succederebbe quando il fine da considerare appartenga a una diversa sfera di realtà e che questa sia da valutare sotto l’aspetto qualitativo, come accade per la quasi totalità delle realtà, semplici o complesse?
Si potrebbe, in questi ultimi casi, applicare la stessa logica valida per i numeri?
Qualità e quantità sono due principi che possono anche essere considerati, sul piano della realtà in cui si trovano, poli opposti di quella stessa realtà, considerabile rispetto a uno o all’altro dei due. Necessariamente ogni qualità conterrà la traccia di una quantità, nei confronti della quale sarà dominante, e ogni quantità, viceversa e sull’altro lato, avrà in sé quella di una qualità verso la quale prevarrà.
La distanza che separa qualità e quantità determinerà anche un percorso nel quale i due termini misureranno distanze tra loro diverse, attraverso gradi diversi.
Questo significa che il polo qualitativo perderà in qualità e guadagnerà quantitativamente avvicinandosi a quello quantitativo e quello quantitativo aumenterà la propria qualità allontanandosi dalla quantità nel suo procedere verso il polo qualitativo.
In questo percorso entrambi i poli assumeranno le caratteristiche del polo al quale si avvicineranno e perderanno quelle che lasceranno dietro di sé, e quindi vicino al polo che si allontana. Questo percorso non è lineare, ma ciclico, così che ognuna delle due polarità, al suo estremo, si trasformerà nell’altra e ricomincerà sul piano contiguo il suo ciclo dinamico. Ciclo che ha come fine il raggiungimento di equilibri più vicini alla perfezione, quando è un ciclo evolutivo, mentre se sarà involutivo degraderà in un peggioramento del suo stato, il quale provocherà la rottura dell’equilibrio lasciato. Ritornando alla ragione di questa analisi, occorre dire che quando un fine è caratterizzato da una natura principalmente qualitativa, questo fine non potrà essere ottenuto da azioni che siano quantitativamente dominanti perché, con questo, verrebbero a mancare gli elementi che determinano e conferiscono qualità, a ragione della distanza nella quale si invertono le caratteristiche dei due termini dell’opposizione prima considerata. Al contrario, invece, quando il fine sarà essenzialmente di un ordine quantitativo, sarà possibile ottenerlo anche con mezzi nei quali la qualità non domina, consentendo di andare oltre alla rigorosità qualitativa.
Per rifarci al calcolo matematico, per l’analogia che deriva da quello, si deve dire che se è vero che un fine quantitativo è raggiungibile anche attraverso una diminuzione o una divisione degli elementi quantitativi che, esorbitando quel fine, si devono ridurre per arrivare a raggiungerlo, è altrettanto vero, al suo opposto, che un fine qualitativo è ottenibile soltanto da un aumento e mai da una perdita di qualità. Come ultima considerazione è necessario ricordare che mai il fine deve essere confuso coi mezzi impiegati per raggiungerlo, perché anche se esso sarà il risultato dei mezzi utilizzati, sarà sempre maggiore della somma di questi mezzi, così come è per ogni totalità in relazione alle parti di cui è composta.
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