sabato 29 giugno 2013

La tensione del male (trasformato in racconto)

"Una persona che dà importanza alla propria spiritualità, la quale assegna valore e dignità al comportamento, non si associa mai ad altre persone contro un individuo, non ne deve avere bisogno perché la forza della spiritualità è di un ordine qualitativo, e sempre basta a se stessa per contrastare il male. Per inversione è il male ad avere la necessità di associare tra loro gli individui contro una persona perché il male, non avendo accesso alla sfera spirituale, regno del Bene comune, cerca di abbattere le realtà che gli sono incomprensibili utilizzando la forza del proprio peso"
Fu l'ultimo pensiero attraverso il quale la sua mente, obbedendo allo spirito, alleggerì il suo animo nel dargli la trasparenza del vento, un attimo prima che le orde di Gog e Magog irrompessero nell'eremo, dove non trovarono altro che un disegno, impresso dalle lacrime del santo nel fango indurito del pavimento. 
Era una perfetta spirale, il segno sacro attraverso il quale il Mistero modula il doversi muovere dell'universo.

Non c'è mistero per l'esercito del male che, ringhiando di rabbia, cancellò il segno calpestandolo, riversando così nuova ferocia nelle fauci del proprio nero destino, rabbiosa fatica che disprezza la generosità attraverso la quale la primigenia Oscurità, irraggiando la luce, assegna a ogni creatura l'essenza, la sostanza e la possibilità di essere libera o di dannarsi.

La tensione del male

Una persona che dà importanza alla propria spiritualità, la quale assegna valore e dignità al comportamento, non si associa mai ad altre persone contro un individuo, non ne deve avere bisogno perché la forza della spiritualità è di un ordine qualitativo, e sempre basta a se stessa per contrastare il male. Per inversione è il male ad avere la necessità di associare tra loro gli individui contro una persona perché il male, non avendo accesso alla sfera spirituale che è regno del Bene comune, cerca di sfondare le realtà che gli sono incomprensibili attraverso la forza del proprio peso.


venerdì 28 giugno 2013

Senza il clangore delle armi

— Padre… sono stanco di lottare per vivere, ho bisogno di pace non della guerra
— Per questo ho deciso di chiederle quando potrò entrare nel Monastero, per liberarmi dalle costrizioni date dalla guerra perpetua—
— Vedi figliolo… la guerra è la via più breve per raggiungere la pace e, per inversione analogica, la pace è la via più lunga per arrivare alla guerra
— Ma prima o dopo ti ci conduce
— A meno che…
— La ascolto, Padre…—
— A meno che tu non decida di vincere la guerra che angeli e demoni combattono dentro di te
— Perché tutte le guerre dell'universo hanno inizio all'interno dell'essere, ed è lì che devono essere pacificate
— Il centro di ogni realtà particolare è a immagine del Centro che ha generato il tutto
— E ogni centralità individuale vuole essere il centro di tutto
— Per questo combatte le altre centralità
— Per smettere di lottare il nostro centro deve sovrapporsi al Centro universale
— E la sovrapposizione si attua solamente nella perfezione di sé
— Se è la perfezione che cerchi dovrai lottare contro le tue imperfezioni
— E il rifuggire la lotta non ti aiuterà—
— Capisco, Padre santo, dunque il Monastero è un campo di battaglia?—

— Sì figliolo, una battaglia senza il clangore delle armi, dove sono le lacrime a scorrere, non il sangue—

mercoledì 26 giugno 2013

Fede e proselitismo

Il proselitismo è l'obbiettivo finale di chiunque preferisca la fede alla fatica data dal dover conoscere.


i fan


Detesto i fan, per qualsiasi cosa sbandierino la loro cieca fedeltà, perché la fede, quando è vera fede, deve stare nel silenzio imposto dal non essere riusciti a conoscere...

martedì 25 giugno 2013

Così è la vita

È trappola per imbecilli, la vita, ma anche culla dell'intelligenza che modula l'esistenza attraverso leggi alle quali non si può sfuggire. Sono leggi universali le quali, attraverso la libertà regalata agli esseri, costringono a rivelarsi per ciò che gli esseri sono in realtà, in conseguenza di quello che hanno deciso di dover essere alla faccia della verità la quale, presto o tardi, li chiuderà nell'angolo stretto ordito dai muri del vicolo cieco più pisciato dell'universo.


domenica 23 giugno 2013

Il respiro del Mistero

Tutto ha la propria fine che attende, e persino la stessa fine ha la sua fine, determinata dall'aver avuto un inizio quando ha cominciato a giustiziare la vita. La morte sarà l'ultima a morire, è detto, quando la vita si sarà ritirata nel non tempo dove il respiro dell'Assoluto si arresta nell'eterno istante, prima di riflettersi una nuova volta nell'atto espiratorio che dà modo al dolore di lottare col piacere. La morte, diversamente dalla vita, ha un cimitero tutto suo, dove riposa soddisfatta di avere assolto il proprio compito, inconsapevole di dover essere sostituita appena la vita farà di nuovo il suo ingresso tra il brillare delle stelle, nei vortici delle galassie che danzano in onore dell'oscurità che raggela la loro culla. È imperdonabile che la morte abbia abbandonato l'embrione che io sono, orribile prolungamento della necessità improrogabile che ha la legge degli opposti la quale, cercando e respingendo, infligge nuove forme al lottare. Sola, vagando nei miei pensieri dissociati, la mia vita non si è spenta col morire del corpo che nel tempo ha saputo vitalizzare, gli è rimasta accanto mentre questi si disfaceva divorato dalle larve, scatenate dopo aver a lungo riposato nei più nascosti recessi del mio spavento, come feroci cani da guardia comandati dalla nera volontà. Tutti muoiono, col corpo prima e con l'anima poi, che trascina con sé i ricordi, le emozioni e i sentimenti, impietosa nella necessità di disfacimento, nel suo aver percorso a ritroso le ragioni che hanno voluto la vita. Io, unica eccezione e parte della stessa eterna legge, ora vago nei territori sconosciuti all'esistenza, larva risvegliata nel guscio psichico che la tiene prigioniera, privata dell'orgoglio dato dall'aver vinto la morte, perché in attesa di essere trasformata in una nuova e futura morte, quella che dovrà tendere agguati alle vite che, guaendo, usciranno dalla fenditura aperta dal respiro del Mistero senza tempo, e lo faranno lamentandosi per il dolore che la gioia del vivere concederà loro. 

La mia non sarà una lunga attesa, perché gli eoni del tempo sono solo degli istanti, tremolanti di fronte alla grandezza dell'eterno Mistero, dove persino gli astri temono il calore bruciante della propria luce.

venerdì 14 giugno 2013

La fiducia nel credere

Tra i credenti che condividono la stessa fede c'è una sorta di coesione, chiamata fratellanza, ed è tanto più profonda quanto questa fede è più sincera. Ci si sente sullo stesso piano della coscienza nella condivisione di una stessa sensibilità. Andando a guardare le cose più in profondità si scopre che quel credere, capace di accomunare sensibilità con lo stesso orizzonte, non essendo un conoscere unisce le persone superficialmente, in conseguenza della superficialità che distingue il credere dalla profondità propria al conoscere. Così i "fedeli", individui facili alla commozione tanto quanto sono refrattari alla comprensione, sono generosi aspettandosi qualcosa in cambio. Non è necessario che sia un guadagno di ordine materiale, anzi, è spesso un far del bene nell'attesa di essere ricompensati col perdono dei peccati commessi, una specie di baratto nel quale si dà per avere la grazia. La natura perlopiù sentimentale delle religioni attira il sentimento, non l'intelletto, e sono in molti a donare con l'intelletto al posto del cuore. Questo sentirsi uniti dei fedeli facilita le guerre tra le diverse fedi, e favorisce l'ipocrisia necessaria per convivere in comunità che si sono poste obbiettivi realizzabili soltanto individualmente. Alla fine la condivisione della stessa fede tende a escludere il prossimo che ha una fede diversa, induce al non volerne comprendere le ragioni di principio, e nella migliore delle ipotesi spinge a essere tolleranti, misericordiosi, come dice il Papa, verso gli inferiori che credono a idoli diversi dal proprio, il solo e unico Dio capace di tenere unite le persone, senza che si sbranino a morsi, durante le feste di paese...

mercoledì 12 giugno 2013

Le "estreme conseguenze"

Nessuno, tra i ricercatori della base, si era mai chiesto quale fosse il suo nome, e in fondo a chi sarebbe dovuto importare di quel giovane assistente, il cui compito era solo quello di coordinare gli aspetti estetici dei diversi rami di una ricerca che, in centinaia di anni, non aveva partorito neppure un germoglio? Nessuno sapeva che quel ragazzino di neppure venti anni era finito nel Centro Ricerche Erzel, il più importante del pianeta, in seguito alla raccomandazione di un insigne professore di fisica nucleare che aveva riconosciuto in lui un'intelligenza dalle potenzialità mai incontrate prima, nella sua lunga carriera d'insegnante. Per tutti quel ragazzo era soltanto uno tra la moltitudine degli svogliati figli di papà che gironzolavano per il centro ricerche spostando polvere. Ma la polvere che quello studente stava spostando non era della stessa natura di quella inseguita dai robot addetti alla sterilizzazione dei laboratori. Era decisamente più impalpabile e, soprattutto, non era visibile nemmeno per il più sofisticato microscopio elettronico.
La scoperta, evento estremamente raro al quale le intelligenze esperte non sono avvezze, questa volta non era stata accidentale, né era stata conseguita attraverso strumentazioni da laboratorio perché il "pulviscolo creativo", come Idney l'aveva chiamato nel buio della propria cantina, si trovava al di sopra della tabella elementale del cosmo, e costituiva quello che si potrebbe definire lo "zero affermato" a partire dal quale l'Essenza fecondava la sostanza. Nel passato la ricerca si era impegnata a lungo per trovare quella che, molto fantasiosamente, era stata nominata "la particella di Dio", ma era stato un cercare a casaccio, un rovistare tra gli infinitesimali elementi sub atomici individuati sparando protoni, attraverso una cascata di acceleratori proto-sincrotonici che spingevano quei protoni a energie relativistiche, producendo fasci di spaventosa energia che venivano, a loro volta, lanciati attraverso delle linee di transfer che si dispiegavano, cento metri sottoterra, correndo per decine di chilometri a lingua fuori, se ne avessero avuta una. Quando la circolazione dei fasci di energia si era stabilizzata e accordata, i fasci erano fatti entrare in collisione tra loro scomponendo a cascata gli atomi, nella speranza di ottenere l'ipotizzata particella di Dio, anello di congiunzione tra la realtà informale e quella formale. Quel procedere scientifico si era trovato davanti un muro invalicabile, eretto dall'impossibilità a poter proseguire, perché qualsiasi particella, per infima che fosse, sarebbe comunque rientrata all'interno del dominio dell'estensione che è indefinitamente divisibile, ammesso di disporre dei mezzi, anch'essi necessariamente fisici, per scomporla fino ad arrivare ai suoi primi elementi costitutivi che alla materia non appartengono. Si era mostrato, in tutta la sua evidenza, l'obbligo che la fisica ha di arrestarsi un attimo prima di cessare di essere fisica, e ogni procedimento fondato sulla divisione indefinitamente estensibile, di ciò che è sottomesso all'estensione, sarebbe stato fallimentare.
Idney aveva genialmente adottato la via opposta a quella che occupava l'altare più alto, nella imponente quanto impotente chiesa della scienza, che consisteva nel procedere dall'infinitamente sottile "non materia", quella che riveste ogni idea prima che la stessa si corrompa, e che dà poi forma al pensiero in grado di partorire la materia.
Per due anni Idney, quando non muoveva dati di laboratorio al Centro Ricerche, si era precipitato nella sua cantina, arredata con una sola stuoia stesa tra le muffe del pavimento in pietra, a meditare. La convinzione che si dovessero percorrere strade extra scientifiche si era impossessata del suo spirito fino a coinvolgere la mente, che aveva orientato tutte le sue energie all'individuazione dell'imponderabile, indagato a partire dallo spirito che centrava il suo essere un uomo, prima che un possibile ma improbabile scienziato. Era giunto così alla conclusione che il mistero della creazione non potesse appartenere alla creazione, così come ogni causa non appartiene ai suoi propri effetti, e se voleva scoprire quale fosse la causa prima della materia doveva anch'egli restarne al di fuori. Quale modo migliore di farlo poteva esserci se non percorrere a ritroso l'atto creativo?
La prima cosa da fare sarebbe stata quella di sovrapporre il proprio essere cosciente al centro di sé, ma prima ancora doveva capire quale fosse e cosa fosse questo centro ineffabile. Lesse tutti gli scritti appartenenti alla Tradizione iniziatica dei diversi popoli, scoprendo che trattavano tutti la stessa astrusa questione, quella che si riferiva alla centralità comune a tutti gli esseri, identica per tutti, la quale sfuggiva alle costrizioni imposte dall'universo delle relazioni. Era questo un Centro che condivideva l'assolutezza del Mistero senza nome, e il doverlo conoscere pareva essere lo scopo che ogni iniziato ai misteri si dà.
Iniziò così a seguire alcune pratiche yoga, che affinano la capacità di concentrazione della mente, nel tentativo di sfuggire alla propria mente, ma fu come pretendere che un occhio possa riuscire a guardare se stesso senza usare strumenti esterni a sé. L'unico effetto ottenuto fu quello di sentirsi estraniato dal mondo, in una sorta di limbo emotivo, crudele nel suo non essere ancora un inferno. Il paradiso, semmai, sarebbe arrivato dopo.
La scienza gli appariva vacua e gli scienziati sembravano essere individui ciechi, di fronte alla complessità di regole sostenute dalle eccezioni da esse stesse generate. Provò a digiunare a lungo per rendere il suo pensiero più lucido e attivo, ma alla fine dovette cedere alla propria natura che, per quanto fosse stata esile, restava sempre ingombrante, come la materia che lui avrebbe voluto creare dal nulla.
Fu uno strano incontro quello che voltò l'ultima pagina della sua affannosa ricerca di soluzioni possibili: l'incontro con un anziano mendicante, il quale pronunciò una frase criptica dopo che Idney si era rifiutato di allungargli una monetina:— È il sacrificio la chiave che scosta il velo, e se vuoi trovare ciò che cerchi dovrai sacrificare al Mistero tutto quello che sai, bruciandolo in un sorriso. Il Mistero ti riempirà di nuovo, ma con la Verità, non più con tue idee— e lo toccò senza muovere l'aria, tracciando dei segni incomprensibili dietro a uno sguardo che gli si impresse nella memoria, senza che attorno la cornice di un viso potesse essere limitata da una fisionomia.
I giorni successivi a quel singolare incontro furono tumultuosi, e le notti agitate da sogni che parevano dovessero suggerirgli qualcosa di importante. Nella sua mente si accavallavano questioni irrisolte, che chiedevano di essere ordinate attraverso dei princìpi condivisi dal suo spirito, il quale si muoveva col passo incerto di chi si è appena svegliato da un incubo. Avvertiva la necessità di avere dei riferimenti certi, dai quali procedere nel dare forma alle intuizioni che lo assillavano. Princìpi superiori alle leggi fisiche gli si presentavano nella loro ineluttabilità, e mostravano di essere perfettamente logici nel loro essere la causa delle leggi naturali alle quali la scienza, insieme alla logica, si affidava.
Un complesso e arabescato mondo riempiva gli occhi della sua coscienza, trasformandola in consapevolezza. Stava accadendo qualcosa che eccedeva le normali esperienze vissute, qualcosa che le trascendeva.
L'universalità era una necessità che aveva ognuno dei princìpi che l'ispirazione inviava alla sua visione interiore, e il suo sentire emotivo ne era come sopraffatto. La realtà intorno fluttuava nella sua inconsistenza, di fronte alle ragioni d'essere modulate in leggi immutabili che si succedevano, le une alle altre, fino ad acquistare una forma che il pensiero poteva sì considerare, ma senza la forza e l'intelligenza per potervisi opporre. Capiva che ora lui aveva due intelligenze distinte e diverse tra loro, che dovevano accordarsi: la sua individuale, limitata, e quell'altra universale, illimitata, che conosceva la ragione d'essere della realtà, e la conosceva al di sopra della durata temporale, nello stesso eterno istante nel quale lui era in grado, attraverso quella intelligenza, di vedere la realtà denudata dei suoi orpelli.
Trascorse i mesi successivi a chiedersi inutilmente chi potesse essere quell'uomo a partire dal quale, ne era certo, era cominciato il suo nuovo cammino nel mondo, ma finì col tornare a sedere in cantina, cercando dentro di sé per riuscire ad affondare le mani nel ricco e sconosciuto Nulla.

Quel giorno Idney non avrebbe dovuto recarsi al laboratorio, ormai non era più necessario lavorare per vivere, perché la sua vita ora era immobile di fronte alla conoscenza perfetta nella quale si era trasformato. Non poteva più avere idee personali né formulare ipotesi attorno a una realtà vista per ciò che essa è: un perfetto imbroglio, imposto e ordito dalla Libertà per donare la possibilità di poter vincere ogni limite.
Idney stava all'interno della simultaneità senza tempo, anche se il suo essere nel mondo continuava a camminare nella consequenzialità, ombra tra le ombre. Aveva accarezzato a lungo la possibilità di creare dal Nulla, e adesso che poteva farlo non gliene importava più nulla. La Creazione era così perfetta, nel suo superare la somma delle imperfezioni delle quali è composta, che ogni aggiunta sarebbe stata superflua, anche se quel superfluo non avrebbe danneggiato alcunché, finché fosse rimasto la complessa illusione che ogni realtà relativa è, nel confronto con la sua ragione essenziale d'essere.
Quel giorno, lo sapeva nella Certezza assoluta, sarebbe stato il suo ultimo giorno di lavoro al Centro Ricerche.
Seduto nella sua dimora interiore immaginò di essere al laboratorio, e lì comparve dal nulla, senza che alcuno potesse scorgerne l'immagine. Si diresse nell'aula magna dove la Conferenza dei ricercatori era in pieno svolgimento, e si accomodò su una poltrona dell'ultima fila, calmo allo stesso modo del nulla.
Gli scienziati, intanto, dal palco illustravano gli ultimi passi fatti, che avevano superato il vaglio delle ripetute prove di laboratorio, magnificandone le possibili applicazioni. L'umanità, dicevano, può contare su di noi, ed era come dire che poteva fare affidamento sull'intelligenza di persone che avevano, come scopo, l'arricchimento di pochi che promettevano la comodità ai molti, i quali stavano a guardare, stupefatti dalla profondità di tanto ingegno. Idney vedeva l'interno di ognuno di loro, le intenzioni celate sotto alla superficie delle menzogne, e la luce negli occhi generata non dall’Intelligenza universale, ma dal fuoco che brucia tutto ciò che gli sta attorno, e vedeva quegli esseri nella pace più totale, priva di emozioni, nel distacco dato dal conoscere la vanità del male. L'antico Idney si sarebbe alzato da lì e li avrebbe annichiliti, mostrando loro l'effetto del pulviscolo creativo di cui erano il risultato, ma ora non poteva più, né era interessato a farlo, perché la Libertà totale che lui era diventato non poteva contraddirsi, negando la libertà particolare di esseri limitati i quali avevano, nella piccola libertà che li possedeva, tutti i diritti dell'universo di cercare da sé la Verità unica, l’unica che sa governare l'universo attraverso la Libertà.